Il mistero metafisico/amletico di Monk…

Frattura o non frattura? Questo è il problema…

Potremmo scrivere così, storpiando i versi di William Shakespeare fatti pronunciare al Principe di Danimarca Amleto che, avvolto dal dubbio esistenziale rimane imprigionato in una trappola mentale che non gli permette d’agire verso ciò che molti fotografano come un discorso verso l’estremo gesto.

«Essere, o non essere, questo è il problema:
se sia più nobile nella mente soffrire
colpi di fionda e dardi d’atroce fortuna
o prender armi contro un mare d’affanni
e, opponendosi, por loro fine? Morire, dormire…
nient’altro, e con un sonno dire che poniamo fine
al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali
di cui è erede la carne: è una conclusione
da desiderarsi devotamente. Morire, dormire.
Dormire, forse sognare. Sì, qui è l’ostacolo,
perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire
dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale
deve farci riflettere. È questo lo scrupolo
che dà alla sventura una vita così lunga.
Perché chi sopporterebbe le frustate e gli scherni del tempo,
il torto dell’oppressore, l’ingiuria dell’uomo superbo,
gli spasimi dell’amore disprezzato, il ritardo della legge,
l’insolenza delle cariche ufficiali, e il disprezzo
che il merito paziente riceve dagli indegni,
quando egli stesso potrebbe darsi quietanza
con un semplice stiletto? Chi porterebbe fardelli,
grugnendo e sudando sotto il peso di una vita faticosa,
se non fosse che il terrore di qualcosa dopo la morte,
il paese inesplorato dalla cui frontiera
nessun viaggiatore fa ritorno, sconcerta la volontà
e ci fa sopportare i mali che abbiamo
piuttosto che accorrere verso altri che ci sono ignoti?
Così la coscienza ci rende tutti codardi,
e così il colore naturale della risolutezza
è reso malsano dalla pallida cera del pensiero,
e imprese di grande altezza e momento
per questa ragione deviano dal loro corso
e perdono il nome di azione.»

Passato lo scritto originale del drammaturgo britannico, spostandoci sull’altra sponda dell’Atlantico più prosaicamente il dubbio aleggiava sullo staff medico di Charlotte e più umilmente sul “Monaco”, alias Malik Monk, il quale dopo aver saputo ufficialmente di avere il pollice destro fratturato, ieri ha scoperto in realtà di non averlo.

Un paradosso…

Già, perché in questa grottesca vicenda ci sono i crismi dell’ufficialità.

Prima l’ipotesi peggiore, oggi la marcia indietro sul sito ufficiale.

 

 

Dalla pagina ufficiale di Charlotte…

 

 

Vedremo ora quindi i tempi di recupero che sicuramente si accorceranno notevolmente se la prognosi finale dovesse essere confermata.

Intanto nella Summer League gli Hornetss, dopo la vittoria iniziale di un punto sui Thunder per 88-87 nella gara d’esordio, i giovani Calabroni sono riusciti a battere anche gli Heat 94-90 emergendo nel finale di un’altra partita tirata grazie anche a 22 punti a testa della coppia Bacon/Hernangomez,

 

 

 

 

cadendo nel back to back con Boston per 80-110.

 

 

 

 

Miles Bridges, principale rookie Hornets 2018 ha chiuso con 20 punti (8/17) e 7 rimbalzi.

L’ex collegiale ha detto:

“Ero a mio agio là fuori adattandomi al gioco. Mi sento ancora come se potessi fare giocate migliori più utili per la squadra”, continuando: “Questa partita è stata di gran lunga la nostra peggiore (della Summer League). Abbiamo girato troppo la palla non comunicando in attacco, ma mi sento come se dovessimo riprenderci”.

Sconfitta abbastanza indolore perché ora si aspettano sconosciuti avversari (saranno determinati nella notte italiana di mercoledì) per affrontarli nel prossimo round di playoffs e testare valori e ambizioni di quel gruppetto di giovani che sarà parte integrante della prima squadra.

Questo articolo è stato pubblicato in News da igor . Aggiungi il permalink ai segnalibri.

Informazioni su igor

La mia Hornetsmania comincia nel 1994, quando sui campi della NBA esisteva la squadra più strana e simpatica della Lega, capace di andare a vincere anche su campi ritenuti impossibili. Il simbolo, il piccolo "Muggsy" Bogues, il giocatore più minuscolo di sempre nella NBA (che è anche quello con più "cuore"), la potenza di Grandmama, alias Larry Johnson, le facce di Alonzo Mourning e l'armonia presente nella balistica di Dell Curry, sono gli ingredienti che determinano la mia immutabile scelta.