Falling Down, sottotitolo: Lost soul

Come nel film con Michael Douglas ‘Falling Down’, Kelly Oubre Jr. e gli Hornets sono in cerca di ritrovar il loro spirito per non varcare il punto di non ritorno.

Analisi tecnica a cura di Matteo Vezzelli, articolo scritto da Igor F..

Mentre il clamore del mondo NBA avvolge calorosamente l’evento dell’All-Star Game nella nicchia di un piccolo mondo di sabbia che si sgretola, si ricompone e di dissolve gli Charlotte Hornets provano a tracciare una via per uscire dalla notte nella quale sono inaspettatamente piombati dopo l’1-9 nelle recenti ultime 10 partite.

Non esiste una vera linea di confine tra eroismo e stupidità spesso.

Il confine sparisce nelle zone desertiche dove i due concetti si sovrappongono fino a fondersi e diventare indistricabili ed indistinguibili.

Quel confine labile è motivazionale, indotto dall’interesse (qualcosa ha importanza soltanto fintanto si rimane coinvolti o gliela si da) e dal risultato che produce e volte nemmeno da quello perché un certo “romanticismo” fuso con il senso del dovere personale producono comunque uno sforzo inimmaginabile per cercare di sostenere battaglie già perse in partenza.

In certe circostanze potrebbe tornare utile la morale kantiana ma questa risolverebbe solamente parte del problema perché le preoccupazioni espresse su una squadra di questo tipo mi erano già evidenti in fase prestagionale.

Pezzo estratto dalla preview dell’anno.

I peggiori nemici degli Hornets sono essi stessi ancora prima degli avversari e di certe terne che sono costate caro recentemente.

Occorrerebbe una stratigrafia nell’anima di questa squadra per vedere se oltre agli strati friabili superficiali c’è in fondo un fondale solido sul quale edificare.

L’anima degli Hornets non si ancora a punti fermi poiché il gioco espresso è sì a tratti elettrificante ma soprattutto evanescente e vaporizzabile con una difesa frustrante soltanto da osservare, nell’insieme un moloch che distrugge le potenzialità di alcuni giocatori che andrebbero meglio indirizzati.

Dan Peterson recentemente ha commentato negativamente questa NBA a suo dire fatta soltanto di tiri da tre punti, duelli uno contro uno e alley-oop muscolari.

Forse avrà visto qualche partita di Charlotte perché la descrizione, salvo rare eccezioni sembra corrispondere perfettamente al copione e all’identità mandata in scena da Borrego (questo è un secondo grave problema) in un sistema che pare ormai più una fabbrica di plastica che qualcosa con un’anima vera, sia in fatto di gioco (non si può ricalcare perennemente lo stile di gioco di Curry se non l’hai in squadra) che di credibilità (si contano ben 5 errori, 2 gravi nell’ultimo quarto a favore di Miami contro Charlotte nell’ultima uscita).

Questa identità (con alcune eccezioni) è valsa per gran parte delle partite fino all’arrivo di Harrell che nelle intenzioni di Borrego avrebbe dovuto riempire quel vuoto atavico nella posizione di centro che da sempre attanaglia gli Hornets.

Il risultato è stato ancora diverso da quello sperato.

Un centro sottodimensionato che ha mostrato sì qualche lacuna di protezione da pick and roll e al ferro con tempi lenti di risposta o movimento qualche volta ma un giocatore che sta già prendendo leadership nello spogliatoio sembrato in grado di dare una bidimensionalità alla squadra sotto le plance in svariate maniere.

“Trezz” Harrell schiaccia a conclusione di una delle folate dei Calabroni. Purtroppo il grande, energico e ‘commovente’ sforzo del lungo si è rivelato essere prometeico per il risultato visti i numerosi errori della terna a noi contrari.

Per una squadra che vive sulle folate è energia in più per evitare interruzioni di corrente in attacco che portano gli Hornets a uscire spesso di scena dalle partite, il rischio semmai è il sovraccarico per un temperamento forte ma in definitiva l’innesto è stato positivo anche se non colma alcune lacune nel mezzo e sugli esterni dove gli Hornets, anche a causa del sistema difensivo in rotazione non ideale, faticano e latitano.

Procediamo con ordine facendo un passo indietro però.

La seconda identità di Charlotte non è stata quella mostrata con Harrell in squadra ma bensì quella d’emergenza che ha visto uscire di scena uno dopo l’altro i vari McDaniels, Hayward e Martin.

Con queste defezioni i Calabroni hanno perso esperienza dall’ex bostoniano e una difesa aggressivo-attiva da parte dei due aiuti dalla panchina.

Andava da sé che dall’idea di small ball e dall’idea di mercato originale di attingere ad Oubre Jr. come sostituto naturale di Gordon, Borrego schierasse l’ex Wizards, Suns e Warriors come ala piccola nello starting five.

Esperimento bocciato nel giro di pochissime partite poiché anche il coach si sarà sicuramente accorto (come ne parlava a proposito di Smith) che gestire anche Kelly in quel contesto di quintetto andava ad alterare troppo gli equilibri del team.

Durante un esperimento a partita persa con Memphis, Borrego ha tentato di inserire tre lunghi rispolverando dalla panchina Thor, il quale, nonostante faccia parte delle acerba linea verde è riuscito ad aiutare Charlotte a torreggiare sui Grizzlies.

Borrego dopo la partita ha fatto sapere di voler giocare con più cm sul parquet ma non si è scostato molto da una rotazione tradizionale poiché Bridges è stato rispedito al suo vecchio ruolo di ala piccola a prendere il posto di Oubre Jr. in quintetto mentre P.J. Washington ha ritrovato un ruolo da titolare come ala grande.

L’accoppiamento con Plumlee dal mio punto di vista non è esaltante perché non sono due giocatori con spiccato ed elevato atletismo mentre Harrell è rimasto in panchina e viene schierato con buon minutaggio accoppiandosi in alcuni momenti con Thor, il quale gioca meno minuti ma compensa in altezza qualche cm in meno dell’ex Wizards.

Qui, ringraziando coach Matteo Vezzeli per le analisi (ho preso in esame diverse situazioni occorse contro Memphis), andiamo a vedere alcune situazioni di difesa personale dove Oubre Jr. e altri Hornets non sono stati irreprensibili in difesa.

Partiamo dalla prima azione:

Come avrete potuto osservare da una rimessa dal fondo nella nostra metà campo difensiva Memphis rimette in gioco con un “bloccare il bloccante” quindi, visto il lungo tagliare dentro seguito da Ball (non si crea vantaggio poiché non avviene nessuna rotazione) è proprio Morant ad andare a prendere un blocco esterno di Adams seguito da Rozier in corner il quale non tiene un’angolazione perfetta (errore principale) e volente o nolente concede la linea di fondo alla star dei Grizzlies che non si fa pregare fino ad arrivare al ferro poiché l’aiuto di Oubre Jr. da sotto è nettamente in ritardo così viene concesso un canestro piuttosto semplice.

Seconda azione:

Qui vogliamo evidenziare la cattiva difesa di Charlotte sui blocchi.

Inizialmente troviamo Morant, palla in mano, fronteggiato da Rozier.

Ja, molto veloce, sfugge inizialmente a Terry che recupera grazie anche all’accenno di raddoppio di Ball mentre Bane porta un blocco diagonale per l’uscita di Jaren Jackson Jr. (il 13 che sale), lungo che va a dare un’ipotetica alternativa a Morant tracciando una possibile linea di passaggio.

Una volta portato il blocco Bane va a disintasare l’area ricciolando fuori sulla destra sfruttando una specie di blocco (forse non voluto) di Adams e quando Morant riparte ad attaccare il centro la difesa di Charlotte collassa facendo muro.

La palla viene giocata fuori per Bane che ha tutto lo spazio per colpire giacché né Oubre Jr. né nessun altro difensore in rotazione hanno seguito lo spostamento di Desmond.

Terza azione:

Ancora Bane e Jaren Jackson Jr. attivi per i plantigradi mentre sull’altro fronte Harrell ed Oubre Jr. vanno a difendere sul pick and roll rapido portato dal 13 in divisa bianca.

Quando Harrell sceglie di andare a contenere Bane coprendo l’area (anche perché Oubre Jr. è già in ritardo), il portatore di palla, con un semplice passaggio, beffa la cattiva chiusura di Oubre Jr. che non chiude la linea di passaggio in raddoppio e non recupera con il tempo giusto sul pop di J. J. Poi bravo a trasformar da tre punti.

Cattiva comunicazione ed esecuzione che rende fin troppo facile una giocata semplice.

Quarta azione:

Palla in mano in punta ad Adams, dietro di lui l’attivissimo Bane sfrutta il blocco mentre Oubre Jr. riesce ancora ad evitare il passaggio consegnato andando poi ad incespicare sul piede sx del neozelandese.

Il lob di Adams evidenzia come la posizione tenuta da Plumlee sia ibrida e dannosa, senza pressione del lungo, senza atletismo e senza quel paio di passi indietro per recuperare il pallonetto ecco che l’inserimento di Bane diventa facile da finalizzare anche per una possibile mancata scelta di andare a chiudere Bane lasciando ipoteticamente Kelly a chiudere il tiro a “Funaki”, un tiro che si sarebbe potuto anche concedere da quella distanza al centro.

Quinta azione:

Tyus Jones e Brandon Clarke ancora una volta evidenziano la povertà di difesa degli Hornets.

I due fintano di combinare un drag pick and roll ma il centro di Memphis slitta via prima di aver portato l’effettivo blocco e dallo “slip the pick” nasce al rollata sulla quale vengono bruciati Rozier, Harrell e Bridges tanto che sul lato forte si stacca dal suo uomo P.J. Washington per andare in aiuto e chiudere al ferro ma l’atletismo del numero 15 ha la meglio tanto da non pensare nemmeno al passaggio aperto nell’angolo destro per l’open 3.

Sesta azione:

Dopo un paio di tentativi di blocchi interni l’attacco di Memphis diventa statico con il pallone consegnato a Morant che prova il primo tiro da tre con Harrell davanti, dall’errore nasce un rimbalzo pro Tennessee team, altra situazione identica con tiro da tre dalla top of the key di Anderson contro Harrell, Charlotte fortunata ma non brava abbastanza per evitare il canestro.

Con una difesa scollegata e un linguaggio del corpo pessimo anche Bridges da dietro si faceva soffiare palla da Konchar il quale incredibilmente mancava l’appoggio ma alla fine emergeva ancora l’attività più intensa degli ospiti che con Morant riuscivano a guadagnare il quarto possesso consecutivo finalizzando sulle macerie di una squadra che, visto il divario (aldilà delle manchevolezze tattiche e fisiche), probabilmente aveva una parte della testa già negli spogliatoi.

Infine, vediamo un paio di attacchi classici.

Settima azione:

Ovvero come non attaccare la zona.

Partenza con possibilità di un pick and roll dinamico, Harrell taglia dentro e Rozier manda la palla sull’esterno a Bridges mentre Harrell viene impacchettato nel mezzo dalla zona dei Grizzlies.

Tre passaggi orizzontali (non il massimo) esterni tra Rozier e Bouknight che alla fine tira e segna prendendo quel minimo di spazio concesso dall’ondeggiamento, dalla flottazione di Morant.

L’attacco però, nonostante il canestro è statico, non c’è un taglio, non c’è un ribaltamento nel 4-1 esterno di Borrego.

Ottava azione:

Pick and roll con Plumlee che rolla via, Morant va a chiudere il tiro da tre dalla top of the key di Ball, l’errore diventa l’icona del gioco degli Hornets, solo Plumlee a rimbalzo (tagliato fuori facilmente), gli altri giocatori fermi sull’esterno e a volte messi non benissimo sul parquet con rientri che causano transizioni da parte degli avversari.

Soluzioni simili con tiri presi da fuori non aperti se ne vedono di sovente, anche in pull-up, inutile rimarcarle se vi è capitato di vedere almeno una partita di Charlotte.

Il dato è che gli Hornets, dopo la partita ad Indianapolis hanno offuscato i loro dardi corruschi: nei loro sei effettivi attuali che hanno girato nello starting five hanno collezionato un 114/400 da tre punti, il che vuol dire un basso 28,5%, per una squadra che conta e usa molto su questa soluzione ovviamente è un dato, unito alla difesa problematica che porta a perdere le partite.

Bridges ed Oubre Jr. hanno segnato 13 3 pts. a testa (Miles 14/63, Kelly 14/74), curiosamente anche Ball e Rozier hanno infilato lo stesso numero di triple: 33 ma mentre LaMelo l’ha fatto su 87 tentativi, Terry ne ha presi ben 112 (un problema la sua bassa percentuale da shooter) e a completare l’occasionale 0/1 di Plumlee il “neo-ingresso” in quintetto P.J. Washington ha sparato con un 20/63 da oltre l’arco.

Cosa aspettarsi dopo la pausa:

Il bello o il brutto del futuro è che è imprevedibile.

Il calendario regala sulla carta anche qualche partita meno complicata, ammesso ve ne siano per i Calabroni di questi tempi, la mano dell’allenatore però sarà sempre la medesima.

Per i fan di lunga data degli Hornets (come me e chissà quanti se ne sono persi negli anni) tutto sembra inesorabilmente fermo allo stesso punto, cambiano i volti, cambia il gioco, cambiano le dinamiche ma ormai da 20 anni a Charlotte non si vede una squadra con un progetto deciso avere due stagioni con un record vincente.

Per i fan giovani c’è la speranza che questo young team riesca a mettere delle basi intorno a Ball e Bridges (se rinnoverà come dichiara di voler fare) mentre il resto è un’incognita, dall’allenatore che è inadeguato ad un Hayward fin troppo importante per sentir la sua mancanza in eccesso quando i preoccupanti infortuni in momenti chiave lo tolgono sistematicamente di mezzo (secondo anno consecutivo in un momento cruciale) o come le scelte di contorno di questa stagione con Bouknight che recentemente ha fatto parlare di sé più per lo scambio di parole con Borrego e per essere stato cacciato dalla prima fila, come spettatore, mentre assisteva, o meglio, riprendeva con il telefonino con un piede in campo (dall’arbitro della partita Mike Roberts) una partita della sua ex UConn.

https://www.youtube.com/shorts/Mj73v8IdCiI?&ab_channel=IlVarista

La classifica ad Est con gli Hornets pericolosamente in zona bassi play-in ormai.

Tracce di vita primordiale, nonostante tutti i problemi già citati ci sono state nell’ultima partita contro Miami dove l’occasione di battere un big team ha prodotto uno sforzo da parte della squadra per tentare di riscattare un periodo altamente negativo che ha fatto piombare Charlotte al nono posto e sotto quota .500 con ben 7 sconfitte casalinghe che hanno minato l’entusiasmo di alcuni fan ma ormai mancano 22 partite (in quello che sarà il mio ultimo anno da seguitore iper-assiduo della squadra) e servirà il supporto di tutti, anche quello del pubblico per caricare una squadra che dovrà cercare di ritrovarsi e giocare più intelligentemente per non smarrirsi.

La squadra è giovane ed è troppo presto per arrendersi, comunque vada, come scritto sulla copertina di “Le Terre Promesse” di Jean-Michel Guenassia, “Credere non basta. Devi voler credere” e ripartire con la vittoria nello scontro diretto casalingo contro Toronto servirebbe a restituire fiducia a una squadra che ne ha molto bisogno.

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Informazioni su igor

La mia Hornetsmania comincia nel 1994, quando sui campi della NBA esisteva la squadra più strana e simpatica della Lega, capace di andare a vincere anche su campi ritenuti impossibili. Il simbolo, il piccolo "Muggsy" Bogues, il giocatore più minuscolo di sempre nella NBA (che è anche quello con più "cuore"), la potenza di Grandmama, alias Larry Johnson, le facce di Alonzo Mourning e l'armonia presente nella balistica di Dell Curry, sono gli ingredienti che determinano la mia immutabile scelta.