Il Punto @ 65

La Teoria delle Catastrofi

La stagione si è interrotta ormai da poco più di due mesi in marzo e la NBA oggi deve ancora prendere una direzione, di sicuro la lega subirà perdite economiche a causa di questa inaspettata pandemia che riporta anche i “marziani” NBA sulla Terra insieme ai comuni mortali.

In biologia, geologia ma anche in economia la morfogenesi è un processo che porta una struttura ad avere determinate caratteristiche.

Se c’è qualcosa di personale che ho appreso in questi anni è che tutto muta, quindi anche i processi che portano allo sviluppo o al crollo di una determinata struttura o sistema, ma anche che, come diceva Socrate: “So di non sapere” nella sua versione meno dotta e più letterale del concetto, specialmente su teorie matematiche come questa sviluppata dal francese René Thom.

Prendo spunto da alcune definizioni generali per creare il mio personale parallelismo tra la Teoria della Catastrofi e la situazione in casa Hornets.

C’è da dire che in casa Charlotte è rimasto tutto fermo per anni ma la scossa tellurica estiva che ha portato all’anno zero ha costretto Kupchak ad adattarsi alla nuova situazione.

La prima era Hornets 2.0 si è chiusa ma per fortuna, quel che metaforicamente dovrebbe essere l’evoluzione “eonica” di Charlotte, prosegue.

Diciamo che tra “una condizione iniziale che porta all’equilibrio 1, e quella che porta all’equilibrio 2, esistono delle condizioni iniziali (instabili), per le quali non è possibile prevedere se il risultato sarà 1 o 2, in questi casi, si dice che il sistema è in condizioni catastrofiche, nel senso che una piccola variazione delle concentrazioni iniziali in una direzione o l’altra, può comportare fortissime differenze sui risultati finali.” e in genere nella NBA queste si chiamano scelte e opportunità, imprevedibili per noi.

Tra gara 45 e gara 66 (lo spettro di partite analizzato) siamo passati a una fase da terza configurazione.

Questa nuova condizione è stata dettata da quattro fattori principali:

1) I tagli di Marvin Williams e di MKG nella finestra di mercato invernale.

Soprattutto la nostra ala grande titolare portava via spazio alla linea verde mentre Kidd-Gilchrist era ormai tristemente relegato in panchina.

2) La scomparsa di Batum dal campo. Batum era rientrato in gioco qualche partita prima della gara a Parigi e nonostante non avesse segnato molto, a livello difensivo e come aiuto alla squadra aveva fornito 2/3 buone prestazioni altalenandole con le solite imbarazzanti uscite.

Partito titolare a Parigi ha finito per giocare una partita indegna e da lì non si è più visto sul parquet, liberando ulteriore spazio.

3) La clamorosa uscita di scena di Malik Monk che si è suicidato su un test “antidroga” (definizione all’inglese generica su vari tipi di sostanze), pena la sospensione decretata dalla NBA.

Malik stava tornando, pur un po’ altalenante, a giocar bene portando punti a Charlotte ma la NBA ha fatto sapere che il nostro numero 1 non ha passato i test richiesti e per questo la nostra SG dalla bench è attualmente out, sospesa a tempo indeterminato in attesa che compili dei moduli per la riammissione anche se quanto starà fuori è impensabile da preconizzare. Se il tempo del passato è quello dei ricordi e della nostalgia, il tempo vissuto dal quale attingere e far tesoro, il presente, specialmente questo è incerto come il tempo futuro che diventa anche una speranza per non precipitare nell’assenza di senso nichilista.

Non importa se sarà utopia non sapendo che riserverà il futuro, di certo la scelta di Borrego, un po’ come sul finire dello scorso anno, di provare le nuove forze provenienti dalla G-League e dar più spazio ai centri come Biyombo e Willy, togliendo qualche minuto magari a Zeller per qualche game è proiettata al domani.

Tornando sulla teoria, Renè Thom praticamente dice che: “I punti di instabilità non sono soggetti a configurazioni caotiche, ma sono soggetti a forme topologicamente stabili e ripetibili, che peraltro, sono anche indipendenti dal substrato, nel senso che le forme di stabilità del caos sono indipendenti dal fenomeno fisico analizzato, sia esso stesso fisico, chimico, biologico, linguistico, storico, psicologico, ecc..”

Da queste considerazioni potrei trarre due considerazioni; la prima è che la sovrastruttura di Charlotte è crollata lasciando intatta la base, come se fosse una piramide, più funzionale e più snella, la seconda è che se i punti di instabilità sono stabili e ripetibili, l’organizzazione oggi deve individuare i punti deboli per far si che la struttura non ceda nuovamente, soprattutto la difesa ha bisogno di esser cementificata alla base (sotto canestro) come si è visto in alcune partite (gara 60 contro i Bucks ad esempio) poiché Borrego ha a disposizione un materiale incompleto.

Biyombo e Hernangomez hanno quasi caratteristiche opposte, il primo è un buon difensore ma è lento, fatica a finalizzare e a costruire, il secondo è abile realizzatore, buon rimbalzista con punte di movenze da ballerino ma difensore di seconda categoria pur avendo migliorato l’abilità di base difensiva.

La seconda è che Charlotte per eliminare questa stabilità verso il basso avrà bisogno di un top scorer ed essendo già proiettati nel futuro in un finale di stagione che difficilmente avrebbe regalato i playoffs ai propri tifosi, oggi si spera in un buon prospetto al Draft, quando questi vi sarà sperando di non vedere gli attuali eroi, detto per iperbole, andare in pensione.

A tal proposito, dovessimo andare su qualche giocatore, ecco un paio di idee:

Se si dovesse orientarsi per un lungo e avessimo la fortuna di poterlo scegliere l’idea (nel video presentato da The Shot) non sarebbe male.

Idea più pazza a quasi km 0 per cercare un giocatore talentuoso che per il momento in casa Charlotte non servirebbe troppo per varie motivazioni di affidabilità, roster, ecc., il classico “rischio”, insomma.

Con un cospicuo spazio salariale, avendo liberato il salary cap dai contratti di Williams, MKG e speriamo anche di Biyombo, più quelli minimi di Hernangomez e Bacon si dovrebbero tagliare circa 50-51 milioni avendo a stipendio giocatori per circa 80 milioni e poi ci sarà da vedere se il tetto salariale subirà modifiche in relazione alla recente situazione poiché la NBA dovrà fare il conto con eventuali varie perdite o se sarà tutto confermato.

Su questi 80, comunque, pesano le incognite Monk (5,3 milioni il suo stipendio eventuale per la prossima stagione), con la società che ha detto di non perdonare per l’episodio ma di sostenerlo, almeno a parole, per ora, oltre l’incognita Batum.

Il francese ha una player option da 27 milioni e mancia ma sta stagnando in panchina e ci sarebbero dei prodromi di “mobbing” anche se i tifosi in primis potrebbero sostenere che ha cominciato lui.

“Tagliarlo” in qualche maniera potrebbe essere costoso anche in termini di anni, spalmando su più stagioni il contratto, una uscita volontaria di Batum personalmente mi sembrerebbe al momento utopica per come funziona la NBA, per logica, per i tempi, solo l’etica e una voglia di giocare che pare però esser scomparsa sul volto del transalpino potrebbero cambiare uno scenario che potrebbe essere appesantito ancora per un anno prima di vedere se a Charlotte si riuscirà davvero a tornare a far del buon basket o il target medio-basso dell'”azienda Jordan” sarà riproposto con contratti spropositati per giocatori non eccelsi, in cerca di lancio o veterani, gli unici che troppo spesso in questi anni si sono affacciati sulla Queen City.

Una firma di Batum a quell’assurdo contratto pare più che scontata perché tra la dignità e i soldi di questi tempi è difficile veder qualcuno che scelga la prima, dopo di che penso che il transalpino abbia finito la sua carriera NBA.

Per quel che riguarda nello specifico il gioco della squadra entrerò più nel dettaglio nella classifica dei singoli e nelle parti statistiche successive, intanto qui una carrellata di numeri che descrivono bene problemi e punti di forza della squadra.

Mi piace sottolinear l’aspetto che i minuti presi dalla coppia di guardie di Charlotte abbiano portato a un notevole miglioramento e crescita dei due giocatori di guarda agli Hornets che l’anno scorso uscivano dalla panchina e che Greensboro, nonostante i risultati, sia una fucina interessante attualmente per la prima squadra.

Nella partita contro Miami si possono notare le statistiche di partite giocate da questi giovani e media punti con la seconda squadra, Greensboro.

Da gara 45 a gara 66

Ripercorriamo velocemente in stile nostalgic vintage l’accaduto da gara 45 a gara 66.

Nelle prime 8 partite gli Hornets lasciavano alle avversarie di turno ben 7 vittorie battendo solamente New York.

Ormai si pensava che la squadra di Borrego fosse intenta a tankare ma arrivavano tre vittorie in trasferta in serie sui parquet di Detroit, Minneapolis e Chicago.

Le sconfitte con Nets e Pacers portavano sostanzialmente al rapporto di una vittoria e due sconfitte, un terzo nel bilancio vinte/perse con un 19-38 in classifica.

Vittoria casalinga su New York un po’ sofferta e grandiosa vittoria a Toronto rimanendo aggrappati al match con un FT decisivo di Rozier a :02.1 dalla fine, quindi sconfitta casalinga contro i Bucks pur mostrando una grande difesa.

Le partite con San Antonio e Denver sono state ben giocate ma perse sul filo, lasciando l’amaro in bocca ai fan dello Spectrum Center con il pubblico di Charlotte (un po’ troppo freddo e imborghesito rispetto a quello anni ’90 secondo me) che ha avuto poche soddisfazioni quest’anno tra le mura amiche.

Per chiudere il ciclo del poker casalingo finalmente arrivava una bella e convincente vittoria di prestigio sugli Houston Rockets.

Ad Atlanta un super Scary da 40 punti non bastava e si finiva K.O. dopo due supplementari ma a Miami, nonostante l’assenza di Rozier e di Butler per gli Heat, dopo una partenza orrenda ad handicap arrivava una grande vittoria prima che la NBA, proprio in quella notte sospendesse la stagione per il caso Gobert legato al Covid 19.

Classifica a Est

Prossimi incroci dell’impossibile sliding door

Da qui alla fine gli Hornets avrebbero avuto un calendario molto variegato composto dalle ultime 16 partite che avrebbero visto la squadra di Borrego impegnata in casa nove volte contro sette trasferte.

Charlotte non ha una netta predominanza di vittorie nelle gare casalinghe rispetto a quelle esterne quindi questo fattore potrebbe essere in parte trascurabile mentre il valore delle squadre avversarie incide di più ma anche in questo caso l’8-8 in perfetta parità non dice molto.

Charlotte stava giocandosi ancora le sue partite senza tankare ma a oggi, con la Regular Season sospesa che forse verrà tagliata o non ripartirà, non ci sarà bisogno di tankare per scendere nel gruppo che avrà le maggior percentuali per la lottery per la scelta migliore.

Atlanta, Orlando, Miami e Philadelphia sarebbero state le squadre che avremmo incrociato più volte (8 partite, la metà esatta delle rimanenti) con le prime tre, rivali divisionali ma adesso…

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Confronto e statistiche

Vediamo i confronti tra giocatori e le zone di tiro, da dove la squadra ha saputo sfruttar meglio l’attacco creato.

La classifica dei singoli

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16) Joe Chealey: 5

La vecchia conoscenza Chealey che aveva accarezzato il campo lo scorso anno con gli Hornets e dopo il camp estivo era finito a Greensboro è tornato a giocare in “prima squadra” a causa della richiesta di Bacon di andare a giocare in G-League visto che anche lui stagnava in panchina con Batum formando un B&B con colazione accanto a Borrego.

Oltretutto ha beneficiato anche dell’autoeliminazione di Monk per un paio di 10 day contract.

Chealey però non ha sfruttando al meglio la situazione e il minutaggio è rimasto bassissimo.

Nelle sue prime uscite è stato piuttosto penoso, roba che ad averla vista nel camp, Kupchak avrebbe subito decretato il taglio (Josh Perkins ne sa qualcosa).

La sua fortuna è sì che ci sono i Martin ma con i due menzionati out è riuscito ad ottenere per due volte il contratto da 10 giorni.

La PG di 190 cm nelle prime tre partite ha tirato con uno 0/7 dal campo in 31 minuti riuscendo a segnare solamente due FT.

Interessanti invece i 4 palloni rubati ma la sua permanenza sul parquet è difficoltosa per ritmo e fisico e al momento oggettivamente la sua dimensione reale sembrerebbe esser la G-League, eppure in preseason lo scorso anno aveva dato decisamente un’altra impressione, migliore della sua dimensione attuale.

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15) Dwayne Bacon: 5,44

Hanno distribuito anche il suo bobblehead (il suo viso contornato da una striscia di pancetta) nella partita casalinga contro Milwaukee ma lui nel frattempo, in accordo con la società, aveva già abbandonato il suo posto in panca per scendere in G-League ed esordire segnando 51 punti contro le “Formiche Pazze”.

Non si può certo biasimare Borrego se negli ultimi tempi “Er Pancetta” vedeva poco il parquet, Bacon nelle sue ultime 7 uscite dal campo ha fatto registrare un bassissimo 4/25 dal campo con un -30 di plus/minus nelle partite prese in considerazione.

Sembrato incapace di regolare un tiro, scendendo in G-League, a un livello più basso, ha subito ripreso confidenza con la realizzazione, eppure anche Borrego a inizio anno l’aveva concessa, ovvio che con le prestazioni siderali di Graham a inizio anno, Dwayne sia stato fatto accomodare in panca ma da lì a perdersi completamente ne passa…

Forse il suo problema è più a livello psicologico che tecnico considerando il fatto che Charlotte lanciandolo da titolare stava chiedendogli di trovare una buona dimensione offensiva oltre a quella difensiva per il quale è conosciuto come un discreto difensore.

Scioltosi come neve al sole non trovando più in attacco i canestri in penetrazione che riusciva a realizzare (non sempre e forse questo gli ha tolto un po’ di smalto e fiducia) in precedenza, andrà in scadenza a fine anno, il dilemma è capire se Borrego avrebbe potuto o voluto provarlo ancora qualche partita verso fine regular season per veder se concedergli o no un’altra possibilità oppure lasciarlo partire per altri lidi.

Bacon ad Atlanta nella penultima uscita stagionale ritorna in panca richiamato in prima squadra.

Certamente con l’ascesa dei due Martin e anche di McDaniels, sebbene giochi in un ruolo differente, Bacon avrebbe comunque poco spazio, sebbene ci sia il caso Monk in sospeso che potrebbe pendere a suo favore.

Di contro c’è anche il Draft sul quale però mi aspetto che gli Hornets non peschino un giocatore nel suo ruolo ma soprattutto uno spazio salariale per acquisire un giocatore che faccia meglio di Dwayne.

Un futuro incerto, insomma, ma al momento io direi che le possibilità di Bacon di rimanere a Charlotte sono del 10,0% circa se non inferiori a meno che si voglia riempire il roster non da giro con salari bassi ma a quel punto si potrebbe puntare sul provare una miriade di giocatori esterni alla lega…

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14) Nicolas Batum: 5,72

L’ultima partita di Batum è stata gara 46 contro Milwaukee e prendendo in considerazione le partite dalla 45 alla 66 rimane difficile quindi aggiungere qualcosa di nuovo o di diverso da quel che già sapevamo.

In gara 45 gioca 16:58 contro Orlando segnando 3 punti grazie a una bomba (½ dal campo) mentre la follia del business lo porta a giocare 33:32 nella trasferta parigina ed “ovviamente” essendo transalpino finisce per partire anche come starter, profeta in patria.

Di buono fa registrare 5 assist ma i punti sono i medesimi con un 1/8 dal campo (0/3 da tre punti) e una prestazione globale poco soddisfacente per non dir peggio che lo porta ad avere un plus/minus di -13.

La società, dopo avergli ipocritamente dato spazio fin lì decide che non sia più cosa farlo giocare, anche se qualche discreta prestazione (per i suoi standard) precedentemente l’aveva fornita, di certo la linea verde nella testa di Borrego ora ha la precedenza.

Batum a Parigi. Ultimo scandaloso tango per lui con gli Hornets o ci sarà ancora spazio per il francese?

E’ evidente che non faccia parte del progetto e si sia al limite del mobbing, da parte di chi non è facile capirlo, se dalla società che lo ha accantonato definitivamente nonostante la squalifica di Monk che avrebbe potuto aprirgli spazi o se da lui che sicuramente fornendo prestazioni deludenti ha contribuito, non solo all’insuccesso della franchigia degli ultimi anni ma alla involontaria complicità della partenza dei pezzi migliori.

Batum, insomma, rappresenta la più grossa zavorra per la franchigia che liberandosi di lui potrebbe esser libera di volar nel cielo alla ricerca di avventure differenti.

Il problema per Charlotte e i suoi fan è che Batum il prossimo anno avrà dalla sua una player option da oltre 27 milioni alla quale un uomo moderno e conformista difficilmente rinuncerebbe.

Bisognerebbe fosse un pazzo per scansare quella cifra che non credo altre franchigie vogliano accollarsi se non per qualche insano scambio.

E’ quindi probabile al 90%, se Batum non si stuferà di scaldar la panchina o abbia un moto d’orgoglio in stile rivoluzionario francese, che la sua testa sarà ancora vicina a quella di Borrego la prossima stagione con Charlotte un po’ più limitata nelle scelte di mercato e se abbiamo detto che liberando sui 51 milioni gli Hornets potrebbero prendere due buoni giocatori, liberandone 78 potrebbero anche provare l’assalto a due top player poiché se si deve pagare almeno il 90% del salary cap, varrebbe la pena avere uno spazio di manovra creato in un tempo unico dove non ci sia bisogno di aggiunte l’anno successivo evitando di firmare giocatori per più anni magari con contratti troppo onerosi per il proprio valore ma puntare su top player, pur consci che i top player negli ultimi anni hanno scansato Charlotte ma potendone firmare due, avendo una buona scelta al Draft e con un young core interessante, la situazione potrebbe cambiare.

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13) Willy Hernangomez: 5,90

Ciò che affligge Willy, come Zeller, è la fase difensiva, solito noto tasto dolente.

Il fisico non è malvagio ma essendo slanciato verso l’alto, in difesa a volte subisce i contatti ed essendo troppo pulito l’avversario guadagna quei cm decisivi per batterlo in separazione.

Lo abbiamo visto comunque molto meglio in attacco nelle ultime uscite dove non solo ha buona mano e un buon repertorio di soluzioni vicino a canestro che ne stanno determinando un minutaggio aumentato ma anche tempismo sul rimbalzo.

Nella partita contro Denver mostra le sue doti e i suoi difetti evidenziando un buonissimo tocco con la mano sinistra.

L’indole europea tecnica la si nota a un miglio di distanza ma per fare il salto di qualità deve lavorare sulla fase difensiva.

Borrego lo impiega da secondo alternando Zeller e Biz da titolare mentre lui sta guadagnando minutaggio e sta fuori raramente da una partita ormai.

Certo, lascia il parquet quando i giocatori a cui si affida Borrego vanno a chiudere le partite ma sta riuscendo a dare il suo contributo, lasciando il segno (da gara 45 a gara 62 è andato in doppia cifra 6 volte) con un massimo di 14 punti Vs Denver nelle partite prese in questione sebbene il suo massimo stagionale sia 15 @ Salt Lake City.

Proprio contro Denver l’abbiamo visto chiuder una triangolazione con touch pass di P.J. in maniera imprevedibilmente decisa e potente schiacciando in corsa.

L’iberico se può non si esime nello schiacciare ma solo quando può mentre è stranamente crollato nella percentuale del tiro da tre punti tirando con meno fluidità, uno strano regresso forse per curar più altri aspetti del gioco o una momentanea “casualità”?

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12) Marvin Williams: 5,93

Finisce dopo cinque anni e mezzo l’avventura di Marvin Williams a Charlotte.

Il buyout l’ha portato alla corte di una seria contender, attualmente interrotta, Milwaukee.

Un cambio di prospettiva in meglio per l’ala grande di Charlotte che lascia libero quel numero 2 che fu di Larry Johnson.

Marvin aveva avuto una buona parte di stagione con Charlotte seppur non in primissimo piano ma tra le riserve mentre nelle ultime cinque partite in divisa Hornets ha fatto registrare un 10/25 dal campo.

Probabilmente i 18 punti contro Milwaukee nella trasferta parigina hanno dato un’ulteriore spinta alla franchigia del Wisconsin per sceglierlo, peccato che nelle successive uscite il suo score sia sceso a 2,2, 4 e ancora 2 punti anche se l’impegno difensivo, compreso a rimbalzo non è mancato come la professionalità.

L’ex Jazz chiude la stagione con i Calabroni con 6,7 punti di media con il 44,8% al tiro in 41 partite (1 da starter) giocate con 19,7 minuti di media come impiego sul parquet.

37,6% da tre punti e 66,0% ai liberi, trascurabili i rimbalzi con 2,7 di media, 1 assist, 0,6 steal e 0,5 block.

Buona fortuna a un giocatore che ha fatto dell’etica del lavoro il suo punto di forza pur non eccellendo in nulla ha sempre dimostrato professionalità e un buon adattamento con discrete qualità da sfruttare.

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11) Malik Monk:

Il numero 1 degli Hornets è più sospeso delle attività bloccate per il Coronavirus grazie a una marachella alla Pierino.

Caduto sul test antidroga (se sia una sostanza dopante, oppure uno stupefacente ancora non è dato sapere) oggi è in quel purgatorio NBA dove la NBA manda i giocatori che violano le norme comportamentali.

Il virus arriva nel momento peggiore con lo studente Monk intento ad apprendere come poter migliorare il suo gioco (specialmente quello offensivo).

Ultimamente sembrava essersi rimesso in carreggiata, aveva capito come sfruttare meglio la sua aumentata fisicità, ovvero fiondandosi a canestro dove ha un repertorio di appoggi vasto, elastico con punte di bravura anche temporeggiando in aria o in controtempo, qualità che non molti giocatori hanno.

Notare la qualità in questo appoggio rovesciato.

Limitare la soluzione dalla lunga distanza sembrerebbe essere una buona idea per Monk (anche se abbiamo visto nell’ultima trasferta a Chicago un missile terra-aria infilarsi da centrocampo nella retina) finché non metterà su un tiro più affidabile ma in tema di affidabilità è il cervello che l’ha lasciato a piedi e ora la mano dovrà compilare scartoffie per poter rientrare in gioco.

La franchigia degli Hornets ha detto che non lo scuserà per il suo comportamento ma che comunque lo sosterrà in questo periodo.

Cosa possa succedere è difficile dirlo, la situazione lascia aperte tutte le porte e se Monk non dovesse rientrare in gioco Charlotte potrebbe anche scaricarlo ma per una squadra che al momento ha bisogno di scorer, rinunciare al Monk attuale sarebbe controproducente a meno che in estate non cambino gli scenari e “Kup” punti a uno scorer che sostituisca il non sempre affidabile attuale n° 1 dei Calabroni.

Il talento sembrerebbe finalmente fluire (ricordarsi la gara a Parigi contro i Bucks come esempio), il ragazzo non è cattivo e non è balzano come un Isaiah Rider ma il punto interrogativo è la sua psiche.

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10) Cody Zeller: 5,93

Zeller è stato, nel contesto mediocre quest’anno per gli Hornets, un ottimo pezzo fino a un paio di anni fa dal mio punto di vista ma un po’ al ribasso oggi.

Il fisico più snello e una salute meno minata dagli infortuni ne hanno fatto sì un giocatore molto più utile di quello che le statistiche dicevano ma scelto troppo in alto al Draft e in fase calante oggi. Zeller, giocatore della vecchia guardia, rimane sempre un giocatore che si impegna ma ha molti più limiti in difesa di qualche anno fa.

Non solo raramente riesce ad essere reattivo ed efficiente atleticamente nell’uno contro uno ma soffre anche talvolta i contatti contro i più piccoli che lo possono battere non poi così difficilmente. Sul fronte opposto, se può correre, diventa interessante e difficile da fermare sulle incursioni con spazio o sui tagli con palla dentro (epicamente unstoppable le sue dunk in corsa), assistiti ed è sempre un giocatore che fa dei blocchi precisi con ottimo angolo per i compagni.

L’aspetto che non gli concede però la titolarità certa è quello difensivo.

Se riuscisse a tornare quello di qualche anno fa avremmo avuto qualche vittoria in più ma molte statistiche dicono che è in fase calante.

I problemi sono molteplici; partiamo dal fatto che Cody non sia un centro moderno e abbia un tiro macchinoso da fuori (a bassa percentuale ma migliore comunque di quello dei due compagni di reparto e di altri centri NBA che proprio non ci provano mai), un tipo di soluzione che quest’anno ha preso molto più spesso come richiesto da Borrego.

Dopo la gara con i Nuggets, il nostro centro aveva già tirato 74 volte da oltre l’arco segnando 17 volte (.230).

Il maggior numero di tentativi in una stagione era stato lo scorso anno con 22 e aveva finito con il realizzare 6 dei tentativi provati.

Che non sia l’uomo adatto per questo tipo di gioco ad allargare il campo come vorrebbe Borrego lo si era già evinto a inizio anno e lo hanno capito anche gli avversari che spesso gli lasciano open con metri potendo raddoppiare su altri giocatori.

La poca reattività, stiamo sempre a dopo la partita di Denver, la dimostra con i TO, statistica ferma a 1,3 come lo scorso anno, tuttavia avendo giocato un po’ meno a livello di minuti di media si registra un peggioramento.

Il 68,2% dalla lunetta ai liberi sfiora il suo peggior dato in NBA (67,9% nel 2016/17) mentre è controverso il dato sui rimbalzi.

La media dello scorso anno è aumentata ma grazie agli offensivi.

Libero di andare a rimbalzo invece di ritrarsi come un paio di anni fa voleva Clifford, per evitar transizioni, riesce spesso almeno a deviar palloni e a tapinare qualche volta.

Lì, sotto le plance avversarie sembra aver più confidenza mentre sotto le nostre a volte è meno reattivo.

Le stoppate sono diminuite drasticamente, segno di minor atletismo e probabilmente concause importanti sono un peso non adeguato al suo fisico e gli infortuni passati.

Per certi versi Cody segue le orme di MKG eppure ha dei buoni momenti ma senza continuità Charlotte è costantemente esposta alle scorribande avversarie nel pitturato.

I suoi milioni, non essendo un centro di primo piano, peseranno anche l’anno prossimo (15,4 per il 2020/21) a meno che Kupchak pensi a uno scambio per aver un giocatore più funzionale a Charlotte, ipotesi comunque remota perché i GM di Charlotte non ci hanno abituato negli ultimi anni a grandi sconvolgimenti.

Non ci sarà la coda per prenderlo magari ma sicuramente Zeller con 11,1 punti di media e il 52,4% al tiro avrebbe più mercato rispetto a Batum o ad altri giocatori scomparsi nei meandri delle panchine NBA.

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09) Bismack Biyombo: 5,96

Altro centro che fa da doppione per certi versi ai due già visti in precedenza.

Anche lui è incompleto ma fa della difesa, al contrario degli altri due, l’arma primaria. Il problema è che pure lui non è velocissimo negli spostamenti con i piedi e sul primo passo dell’attaccante ma la fisicità e la lunghezza a volte gli permettono di recuperare e piazzare qualche stoppata in più oltre a quelle che effettua da sentinella nei pressi dell’area.

Con lui teoricamente Borrego potrebbe rinunciare a una zona match-up perché copre meglio la zona dell’anello e non è costretto a uscire sul perimetro dove diventa battibile preso in velocità.

Le stoppate non sono numericamente, dal mio punto di vista, quelle che mi aspettavo però la sua presenza serve un po’ a intorbidire le acque, far girare più alla larga gli incursori e a far modificar qualche tiro al penetratore sino all’anello.

Purtroppo a livello offensivo, salvo qualche episodica azione, non si registrano miglioramenti costanti in ball-handling, due mani come pale da pizza, classico centro di un tempo che deve metter giù palla poco per non farsela scippare, interessato marginalmente in azioni d’attacco che lo interessano come perno o come finalizzatore qualche volta per punti di rottura quando pensa di poter avere un vantaggio che può sfruttare anche con ganci oltre che la fisicità.

Qui sotto vediamo una rara azione nella quale Biz mostra talento offensivo unito a tecnica e coordinazione in campo aperto.

Altruista (dote che piace a Borrego) non eccede nella soluzione personale e il non forzare, insieme al fatto di tirare pressoché sempre vicino al ferro (non ha tiro da fuori) lo fa tenere alte percentuali, il che aiuta Charlotte, squadra che non è tra le più precise di certo al tiro, oggi.

Contratto in scadenza, a questi prezzi sarebbe follia rifirmarlo se vogliamo migliorar qualitativamente, nonostante la simpatia e il lato umano di spessore del personaggio Biz.

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08) Michael Kidd-Gilchrist: 6,00

Non ci sarebbe molto da scrivere su MKG poiché in accordo con la società le parti hanno optato per il buyout con l’ex n° 14 teal and purple subito accasatosi a Dallas.

MKG non farà parte quindi del futuro degli Hornets, salvo imprevedibili accadimenti futuri da cavallo di ritorno (poco probabili all’odierno “prezzo di mercato”).

C’è però una lettera aperta che MKG ha scritto alla gente di Charlotte e ritengo sia meritevole d’esser pubblicata, almeno nelle sue parti più salienti poiché l’ex ala degli Hornets è sempre stato un anti-divo e anche in virtù di ciò, le sue parole al miele sono ritenute più attendibili rispetto a chi ha altri comportamenti e ha girovagato di più.

“Non dimenticherò mai la prima volta che Michael Jordan mi ha chiamato al telefono.
Qualche giorno dopo che Charlotte mi scelse per la seconda volta nel Draft del 2012, io stavo seduto a casa con la mia famiglia.
Il mio telefono inizia a squillare, guardo in basso e noto che è un numero che non avevo mai visto prima quindi, ovviamente non voglio assolutamente rispondere.
Il numero non è nel mio telefono? Non compare alcun nome? Nah.
Di solito non rispondo a chiamate con numeri non in rubrica ma la cosa folle è che in questo caso, per qualche motivo, sembra che il telefono stia suonando da molto tempo senza segreteria telefonica quindi mi stanco di sentirlo, e rispondo.
“Ciao?”
Dopo una breve pausa sento: “Yo!”
Quindi cosa fai quando rispondi a una chiamata da uno strano numero e la persona all’altro capo dice: “Yo” e nient’altro?
“Who dis?”
Poi c’è una risatina e la voce dall’altra parte…
“È Michael Jordan.”
E intendo… nella mia testa penso… Whaaaaaaaaaaaaaat? È vero?
Mi stai prendendo in giro?
Sono un ragazzo di 18 anni e sono al telefono con il più grande giocatore di basket che abbia mai camminato sulla terra.
E non sono solo al telefono con lui … MI CHIAMA!
Michael Jordan. MJ, the goat sta chiamando.”
MKG si rende conto di essere entrato nel mondo della NBA con il benvenuto speciale di MJ.
“Nei prossimi otto anni, MJ e io parleremmo al telefono dozzine di volte, e io adorerò sempre quelle conversazioni – quei legami che abbiamo costruito, l’amicizia, davvero.

Molte volte mi chiamava semplicemente per offrire supporto e incoraggiamento.

Altre volte, avrebbe cercato di spingermi a dare del mio meglio e sarebbe stato davvero diretto e duro con me.”
La prima telefonata di MJ recava i seguenti messaggi: essere pronto per la sfida, cercare di migliorare ogni singolo giorno, lavorare duramente e che questa città ti amerà se lo fai.
“La cosa bella di quest’ultima parte era che sapevo già che sarebbe stato vero.
Avevo sentito la stessa cosa più volte dai charlottean di lunga data durante il mio viaggio in città per quella prima conferenza stampa il giorno dopo il Draft.
Non dimenticherò mai un signore in particolare.
Stavo camminando per la strada a Uptown con i miei genitori e mia sorella, magari cercando un posto dove mangiare o altro e posso ancora ricordarlo. È stato il pomeriggio di sole più bello, uno di quei giorni in cui non riesci a trovare una sola nuvola in cielo.”
Dal nulla, un alto gentiluomo ben vestito si avvicinò a noi.
Era super educato e si scusò per l’intrusione.

Quello che ha detto dopo è rimasto con me da allora.
“Volevo solo darti il ​benvenuto nella nostra città”, ha detto. “E dirti che questa città non vede l’ora di supportarti in tutto ciò che farai. Charlotte ti abbraccerà.”
Ho davvero apprezzato quel gesto.

Quando MJ l’ha detto, certo, ma anche quando quell’uomo gentile mi ha tirato da parte per strada per fornirmi una premurosa parola di incoraggiamento.

Ricordo di aver sentito dire quella cosa e di essermi impegnato con me stesso in quel momento. Decisi che avrei lavorato il più duramente possibile per la gente di Charlotte, che avrei fatto tutto il possibile per portare loro un po ‘di gioia e felicità.
Da lì, una vera storia d’amore si è sviluppata tra me e la città di Charlotte.
Penso che il modo migliore per descriverla sia dire che nel corso degli anni la città è diventata per me come un fratello.
Non solo famiglia.
Era anche più di questo.

Qualcosa di più grande.
In realtà era come se la città fosse diventata per me un fratello maggiore o una sorella maggiore durante il mio soggiorno lì.
Sono uno che è andato al college ai 17, ha giocato un anno al Kentucky e poi è stato subito sbalzato in NBA.
Non solo ero giovane ma ero anche molto timido, inoltre soffrivo di balbuzie e non volevo davvero essere social, fare molti amici ed essere ovunque sui media.

Niente di tutto ciò mi ha attratto. Volevo solo dedicarmi al lavoro e lasciare che le mie azioni parlassero da sole.

È così che sono sempre stato.
In un certo senso è stato terrificante: tutte le attenzioni e le aspettative che hanno accompagnato la miglior scelta. Quella roba… mi ha messo al limite ma poi, appena mi sono presentai in città fu come se l’intera città di Charlotte avesse aperto le sue braccia e mi avesse dato un grande, enorme abbraccio.

Le persone di questa incredibile città, mi hanno subito mostrato così tanto amore e incoraggiamento sin dal primo momento in cui ho messo piede qui che questo mi ha aiutato a sentirmi a mio agio.

Mi ha permesso di sentirmi più sicuro di me, di svilupparmi e di conoscere me stesso nel tempo in un ambiente che non avrebbe potuto essere più favorevole.
Questa città, le persone, l’organizzazione, i miei compagni di squadra, proprio ad ogni livello immaginabile, mi sono sentito supportato e amato e quel supporto, più di ogni altra cosa, mi ha permesso di passare da ragazzo a uomo.
Charlotte mi ha insegnato come diventare più coinvolto e parte integrante di una comunità.

Ho imparato a costruire relazioni, a superare la mia timidezza e ad essere responsabile oltre a un milione di altre cose che sono ora fondamentali per l’uomo di 26 anni che vedi oggi con due figli e una futura moglie.
So che potrebbe sembrare un po’ banale ma sai una cosa?

Dai 18 anni in poi Charlotte mi ha cresciuto.
Questa città. Questo posto. Voi tutti.
Mi hai cresciuto.
Ora, ovviamente, non abbiamo vinto tutte le partite che avremmo voluto vincere negli ultimi otto anni, ma posso onestamente dire che ho dato a questa città tutto ciò che avevo.
Volevo vincere, grintoso, come chiunque altro.

Quindi le sconfitte mi hanno eroso ma, allo stesso tempo, quando ripenso agli ultimi otto anni, il basket era davvero solo un pezzo di ciò che era importante per me della mia esperienza a Charlotte. Quando parlo di questa città, è molto difficile per me limitarmi al lato basket perché per me c’è molto di più nel mio tempo qui rispetto al basket.
Il mio obiettivo principale, ancor più che vincere o aumentare i numeri, era aiutare questa città a crescere e ad avere successo in ogni modo possibile.

Il mio desiderio era di abbracciare questa città con quanta più energia, passione e amore possibile perché Charlotte lo faceva costantemente per me.
Ogni volta che ero giù – che fosse dopo la morte di mia nonna, o mentre mi riprendevo dagli infortuni – questa città era lì per sollevarmi.
E non lo dimenticherò mai, Charlotte.
Significa il mondo per me, voglio dire quanto sia speciale questo posto.
Questa sarà sempre a casa per me.
Io sarò amante di Charlotte per la vita.
Potrei non essere più in giro, ora che il mio tempo con gli Hornet è finito ma ricorderò sempre quanto siete stati buoni con me e spero che continuerete a controllarmi ogni tanto per vedere come sto.
Per quanto sia stato difficile andarmene, devo dire che sono eccitato per questo nuovo capitolo a Dallas e sono pronto a seguirlo.

Stiamo cercando di fare un bel giro nei playoffs e sono pronto a fare tutto il possibile per portare alla mia nuova squadra quel fuoco competitivo per cui tutti voi mi conoscete.
Non sarò fissato sui numeri o preoccupato per le mie statistiche.

Non sono mai stato quel ragazzo.

Sto solo cercando di essere il miglior compagno di squadra che possa essere, incluso essere uno dei più accaniti difensori della lega.
Immagino, anche otto anni dopo che me lo disse per telefono, il consiglio di MJ rimanga fedele fino ai nostri giorni, cioè, cerca di migliorare ogni singolo giorno e lavora sodo.
La città ti amerà se lo fai.”

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07) Cody Martin: 6,12

Tratto da un articolo del Charlotte Observer con una traduzione piuttosto fedele nel senso della frase, liberamente modificata in qualche occasione per rendere più veritiero e meno letterale il significato in quel che arriva da una lingua differente (come diceva De André, meglio una traduzione più artistica che letterale andando a perder di significato):

Jenny Bennett (la madre dei gemelli Martin) aveva tre semplici regole per i suoi tre figli che dovevano essere seguite:
Una volta che inizi qualcosa, devi finire.

Non andare da nessuna parte senza dire dove sarai e con chi sarai.

Proteggi sempre i tuoi fratelli poiché essi ti proteggono.
Questa fu la sopravvivenza a Cooleemee, una città con meno di 1.000 abitanti nella Contea di Davie, 35 miglia a sud-ovest di Winston-Salem.

Come madre single di una famiglia interrazziale, Bennett vide cose terrificanti mentre allevava il figlio maggiore Raheem e i gemelli Cody e Caleb.
Una domenica mattina si svegliò con una croce fumante nel suo cortile.

Non è stato un episodio isolato di odio razziale che ha vissuto negli anni ’90 come madre bianca di tre bambini mulatti nel sud degli Stati Uniti.

Insulti a parte, sguardi, commenti diretti e indiretti, vigliacchi sussurri ma anche una volta in cui le si ruppe la macchina tornando con i figli a casa e qualcuno tentò di investirli.
I gemelli Martin li conosciamo, poi c’è Raheem, il fratello maggiore che fa l’allenatore di basket nel suo alma mater, il Greensboro College.

Cody e Caleb sono rookie per gli Hornet; ognuno si è giocato il suo posto nelle rotazioni di Charlotte prima che la stagione NBA fosse interrotta l’11 marzo.

“Nostra madre era con noi. Aveva tre lavori e trovava ancora il tempo di seguirci” ha detto Caleb Martin.
“È davvero difficile da fare. Avevamo amici ai cui genitori non potevano fregare di meno di quello che i loro figli stavano facendo.

Lei ci ha tenuti in riga e ci è voluto per arrivare a sognare in un posto come questo.
Nic Batum ha notato subito lo scorso autunno che c’era qualcosa di diverso nei gemelli Martin. Erano maturi per essere dei principianti ma c’era qualcosa in più, era come se fossero dei problem solver (risolutori di problemi).
Cody e Caleb hanno detto che è il tratto caratteristico, la cosa migliore che hanno imparato da loro madre durante il loro rapporto.
“È pazzesco come Nic l’abbia notato”, ha detto Caleb.

Ogni volta che le cose andavano male o giù di lì, ha sempre trovato un modo per uscirne, in genere, non finanziariamente.”
Uno dei numerosi lavori di Jenny fu presso un Lion Food.

I gemelli erano troppo giovani per restare a casa da soli e non c’erano soldi per una babysitter quindi con la benedizione del gestore del negozio la madre preparava i pranzi e i film preferiti dei bambini e li sistemava davanti alla TV e al videoregistratore nell’ufficio del negozio.
Cody e Caleb sono oggi con Jenny nella zona di Winston-Salem, non solo per la festa della mamma ma per cercare di affrontare insieme anche la pandemia.

C’è un rapporto vero stretto, un senso di protezione reciproco nelle loro relazioni che le rende durature.

Credono che sia questo che li ha portati prima nello Stato di New York, poi in Nevada e ora negli Hornets.

Vivere in un quartiere pericoloso è diventato una lezione iniziale per credere nel lavoro di squadra.
Caleb per andare a gettar la spazzatura usciva con Cody per assicurarsi che tutto andasse bene.
Essere al verde e scegliere magari di non mangiare per darlo ai figli anche per cercare di non mostrargli il lato brutto della società e il pensiero stressante che da esso ne deriva.

Cody ha detto: “Quando sei più giovane non ci pensi molto ma maturando sempre più capisci cosa sta succedendo. Ha fatto molti sacrifici.”
Jenny non lo considerava un sacrificio, per lei, era amore in azione.
“Se non mangio, non mangio”, ha ricordato Jenny di quei tempi.

“Questo è il tuo lavoro di genitore, con qualsiasi mezzo. Erano la mia prima priorità al 100%.”

Reclutati Eric Musselman per la prima volta i Martin uscirono dallo Stato mentre la madre preoccupandosi andò a parlare con il coach, oltre per assicurarsi che le cose andassero bene, chiedendo se ad esempio se valutavano Cody tanto quanto Caleb che era il marcatore più collaudato.
“Quei ragazzi non avevano bisogno di esser seguiti e non ho mai ricevuto una chiamata da Jenny; nessuna lamentela per nulla.” ha detto Musselman.

Cody e Caleb a casa mostrano il loro lato ironico e umano lanciandosi in discussioni (abbastanza inutili quelle politiche) e la semplicità del loro legame familiare non è cambiato nonostante l’approdo in NBA.
“Sono ancora i miei bambini”, ha detto Jenny, “non importa quanti anni abbiano.”
Veniamo al Caleb giocatore dopo aver spiegato questo tratto del suo carattere che lo rende probabilmente più determinato di altri sul campo.

Giocatore piuttosto sveglio, piuttosto rapido e scattante, ideale per dare spesso più forza a una difesa che in certi frangenti rimane troppo passiva e timida riuscendo a metter pressione sull’attaccante o mostrandosi agile e utile nel recuperar qualche palla vagante.

Giocatore elettrico, buona visione di gioco, talvolta esagera nell’arrischiare il passaggio ma riesce spesso a fornire materiale per i compagni in svariate modalità; semplici scarichi, passaggi sul raddoppio, passaggi sotto canestro, ecc..

In difesa deve ancora assestarsi meglio a livello tattico dal mio punto di vista riguardo a ciò che gli chiede Borrego e a tal proposito prendendo in esame la sua partenza contro Miami nell’ultima uscita stagionale non è stato sicuramente tra i più positivi dopo un inizio nel quale ha tentato di flottare su un paio di giocatori rimanendo troppo distante dal suo uomo facendosi passare, ha perso la posizione o è stato battuto da altri giocatori.

Aldilà degli episodi singoli sembra un giocatore abbastanza solido e resiliente alle avversità.

Anche per lui il percorso di crescita è stato interrotto, un peccato perché avrei voluto vederlo nelle partite di fine stagione per cercare di capire se potesse salire ulteriormente di tono o mantenere un discreto voto ma che è poco più della sufficienza, cosa non da poco comunque per un rookie che a inizio anno, nonostante un roster più modesto rispetto a quello passato, non era certo dato a questi minutaggi e pronto a coglier l’occasione della mancanza di Rozier per saltare direttamente nello starting five.

C’è come un sentore che possa ritagliarsi un ruolo in squadra anche se non sarà magari da protagonista grazie alla sua caparbietà.

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06) P.J. Washington: 6,13

P.J. Washington è lo strano caso di un rookie che si è immediatamente trovato ad aver spazio in quintetto a inizio anno a causa di un reparto molto depotenziato rispetto al passato ma anche per meriti poiché ha mostrato buone doti in preseason.

L’esordio contro Chicago, infatti, è stato con il botto e sono piovute triple importantissime dall’ala per vincere il match.

Durante la stagione ha alternato però le classiche prove molto positive ad altre negative.

Questo rollercoaster con picchi altissimi verso l’alto e abissi profondi è dovuto ed è tipico della giovane età.

L’esperienza sarà fondamentale per determinare che tipo di giocatore diverrà in futuro P.J..

Sul lato difensivo non è irreprensibile ma a volte la cosa è anche dovuta a posizioni che flottano dal post basso all’esterno per il sistema di gioco che in quel momento vuole coach Borrego.

Un po’ lento, ingenuo talvolta se non passabile troppo facilmente dall’attaccante quando lo punta, ha bisogno di smaliziarsi e di trovare la sua dimensione in un sistema difensivo che si basa spesso su cambi dovuti ai pick and roll delle altre squadre o su coperture a zona quando si smette, anche momentaneamente, di giocare a uomo ma ha avuto anche momenti di ottima difesa che farebbero vedere delle interessanti possibilità per lui di diventare un buon difensore.

Sul lato offensivo ha più, a 21 anni, “Pistol” mostra una discreta varietà di soluzioni tecniche per colpir in attacco che vanno dal semigancio, all’appoggio, all’entrata molto decisa se ha spazio, iniziando a infilarsi con tempismo sui pick and roll a lui forniti.

L’arma del tiro da fuori è discreta, a volte non gli entra molto ma è capace di mettere due triple nel giro di pochi secondi, un tiratore di striscia o di serata come lo era stato Marvin Williams prima che proprio il ragazzo da Kentucky lo rimpiazzasse.

12,2 punti di media (7 volte con punti pari ai 20 o superiori con il top contro Chicago all’esordio con 27 seguito da una gara contro Detroit il 29 novembre a 26) sono buoni per un rookie che sta avendo spazio per maturare, come vedremo, difetta un po’ come il suo collega Miles a rimbalzo, nelle stoppate e nelle rubate.

La coordinazione c’è, l’agilità e la reattività difensiva dal mio punto di vista debbono sicuramente migliorare per poterne fare un giocatore più completo.

Percentuali troppo basse al tiro libero, strano per un giocatore che fa vedere buone cose tecnicamente con il gioco in movimento ma forse a livello psicologico si perde a gioco fermo.

Beh… considerando che la stagione è stata interrotta qui (peccato per il suo processo di crescita interrotto sul parquet nelle ultime gare) il giudizio è moderatamente positivo tenendo conto del fatto che P.J. è solamente un rookie e non si poteva chiedergli la Luna.

L’ambiente ideale per non bruciarlo era questo, buon minutaggio (30,3 a gara di media) poche aspettative in generale sulla squadra, un in più venuto da molti giocatori che liberi dalla pressione hanno dato spunti interessanti che dovranno migliorare e confermare nella prossima stagione.

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05) Miles Bridges: 6,15

Per me rimane ancor il giocatore più enigmatico degli Hornets.

Indubbiamente il suo percorso di crescita e apprendimento non è completato.

Sarà che agli Hornets il ruolo di ala piccola interpretato ultimamente tra gli altri da MKG, Batum e ora Miles non è stato molto semplice da interpretare ultimamente, sarà che la scelta di Bridges per le sue potenzialità atletiche mi aveva fatto intravedere buone possibilità di affermarsi in una NBA fisica ma a oggi rimane piuttosto ancorato a qualcosa in più di una sufficienza.

Qualche exploit, qualche giocata delle sue di potenza, rare perle che illuminano gli occhi, ma un tiro da tre che non è esattamente in crescendo rossiniano (33,0% con troppi errori nelle ultime uscite) in attacco mentre in difesa avrebbe la fisicità per tenere abbastanza bene l’avversario ma i suoi movimenti quando l’avversario muove palla e uomini talvolta creano buchi in difesa, trascinando qui, per ben due volte, il suo compagno di reparto P.J. in un gioco di spazi mal coperti.

Vediamo qui un caso nel quale Bridges esce sul playmaker degli Heat Nunn tenuto da Graham, questo “show” di Miles costa caro perché innesca una serie di reazioni a catena che creano spazi per gli Heat: Bridges prende un brutto angolo, Zeller non tiene Adebayo che scatta sul pick and roll accennato, a quel punto Miles cercando di seguire il centro nega quasi involontariamente la linea di passaggio a Nunn che è bravo a trovare però in angolo il compagno D. Jones Jr., altrettanto efficace nel segnar la tripla grazie a un altro movimento innescato dalla prima uscita di Miles, ovvero l’aiuto di P.J. Washington in chiusura che oscillando tra l’angolo e il pitturato, sul contemporaneo (al movimento in chiusura) passaggio esterno, non ha più il tempo necessario per contrastare il tiro del suo uomo.

Si ringrazia, riguardo quest’azione coach Erik Chialina per la gentile collaborazione, competenza e confronto.

In quest’altra azione che andremo a vedere tra poco Bridges cerca di marcare, tenendo bene inizialmente S. Hill, il suo uomo, ma poi sulla sinistra si viene a creare un fazzoletto denso di giocatori anche perché Nunn, sfruttando il blocco di Adebayo, esce a ricciolo ricevendo in posizione di ala.

Bridges, seguendo il suo uomo va a cercare di fare un aiuto (piuttosto pigro) mentre Nunn prende d’infilata due giocatori Hornets arrestandosi nel pitturato sulla chiusura di Zeller.

Sulla penetrazione di Nunn, Bridges ha un’incertezza sul fatto di tornar sul suo uomo ma ingolosito dalla palla si schiaccia andando a cercare il raddoppio pur essendo già battuto, a questo punto la palla finisce fuori per Derrick Jones Jr. sul quale si fionda P.J. Washington mentre Miles nel mezzo brancola ancora nel buio.

Contemporaneamente sul lato debole c’è un cambio di marcatura con un blocco flare che rallenta Martin in uscita sull’esterno, il n° 55 Robinson (a dx).

Quando arriva il passaggio orizzontale sul lato sinistro, Hill solissimo, prende vantaggio in partenza mentre Miles, staccato, si fa battere nuovamente e facilmente attirando anche P.J. Washington (uscito in precedenza già a chiudere la PF degli Heat) sulle tracce dell’uomo del numero zero.

La palla viene spostata con l’extra pass finale per D. Jones Jr. che non perdona ma anche in questa azione tatticamente Miles non è sembrato irreprensibile condizionando anche il compagno di reparto P.J. Washington.

Si ringrazia riguardo quest’azione coach Matteo Vezzelli per la gentile collaborazione, competenza e confronto.

Come si può notare, Miles ha qualche svarione in meno rispetto a inizio stagione ma personalmente non mi convince ancora nella metà campo difensiva.

Le sue statistiche nelle rubate e nelle stoppate non sono numericamente piuttosto trascurabili e a rimbalzo potrebbe dare di più (5,6 a partita in poco più di 30 minuti sul parquet) con quel fisico.

Affidabile al tiro libero come da due punti, per fortuna ha affinato un po’ l’appoggio a canestro prendendosi il suo ritmo, cosa che agli esordi non riusciva a fare arrivando a tutta velocità per appoggiar male.

Ottimi, anche se non spesso usati, i movimenti di spin spalle a canestro o 360°, talmente veloci che a volte l’avversario rimane letteralmente sul posto.

Certo… in attacco non è la prima opzione e non gli si chiede di farsi carico del peso offensivo ma di metter punti di rottura e in un certo senso a far questo riesce ma con una squadra con poco tiro da tre nel settore ali/lunghi dovrebbe riuscire a metter su un tiro da fuori almeno leggermente più affidabile sugli scarichi che spesso arrivano negli angoli o a circa sulle due diagonali.

I suoi punti sono aumentati ed è divenuto terzo marcatore della squadra con 13,0 pt. a partita.

Per non affondar nella mediocrità, nonostante numeri in crescita, come altri recenti giocatori scelti al Draft che gli Hornets avevano sperato divenir migliori nei loro anni a Charlotte, dovrà migliorare tatticamente sperando possa acquisire anche più confidenza con l’arte del passaggio dove è passato dall’1,2 nella stagione da rookie a 1,8 in questa da sophemore.

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04) Jalen McDaniels: 6,20

Scelto alla posizione n° 52 la forward di 208 cm per 93 kg non ha avuto spazio nella prima parte di stagione.

Ala molto atletica ed esuberante anche se non dal fisico colossale, è una piacevole e recente scoperta lanciata da Borrego all’interno della sua green line grazie anche alla cessione di Marvin Williams.

Le partite recenti nelle quali è stata impiegata la nostra PF.

Uno dei primi giocatori a uscire dalla panchina di recente ha ottenuto in una partita 10 rimbalzi e in un’altra 5 assist.

Ha sicuramente doti di tempismo ed esplosività (salta piuttosto in alto anche se non è rapido come Miles) come una buona apertura alare, il limite è l’eccesso di agonismo in qualche occasione su close-out e difese che sono utilizzate da qualche volpone della lega per procurarsi il contatto a proprio favore.

Una sua scheda preDraft.

Aveva un 7 sulla scheda Draft per quanto concerne la capacità difensiva ma Kupchak l’ha preso dicendo che da lui si sarebbero aspettati di vederlo crescere, magari prima a Greensboro.

Era partito bene realizzando diverse triple grazie a palloni che sugli scarichi che i compagni cedevano lui specialmente in angolo.

Ultimamente sta segnando un po’ meno in percentuale, compresa qualche tripla mancata ma sembra avere una buona meccanica di tiro ed è uno degli aspetti che Borrego gli chiede quello di colpire sugli scarichi.

E’ abbastanza incosciente anche in attacco ma questo a volte si può trasformare in benefici a rimbalzo o in imprevedibili incursioni per le difese avversarie.

La sua valutazione più bassa al Draft riguardava la resistenza, una sufficienza che non intacca però il suo gioco a Charlotte visto che i minuti a lui concessi non sono tantissimi ma a livello di rimbalzi mostra una buona media.

Un punto a suo favore è la voglia di apprendere.

Borrego non sapeva nulla di McDaniels quando gli Hornets lo arruolarono.
Gli Hornets spedirono McDaniels a Greensboro toccando la prima squadra solo in tre occasioni nelle prime 51 partite ma nella poca interazione che Borrego ebbe, notò una curiosità preziosa.
“Assorbe informazioni e vuole informazioni”, ha detto Borrego. “Non ti sta solo ascoltando, lo sta afferrando. Ci sta pensando. Il più delle volte, non commette più questo errore e se non lo fa (afferrare qualcosa), chiede una seconda volta o una terza volta, inoltre svolge il suo ruolo. Quando dici a un giocatore: “Questo è il tuo ruolo” e lo fa, è accattivante. Non sta cercando di essere qualcosa che non è o qualcosa di cui non abbiamo bisogno in questo momento.”

Questo aspetto avrebbe garantito molto probabilmente a Jalen di chiudere la stagione con buoni minutaggi ma il virus ha interrotto questa crescita e il suo processo d’apprendimento sul parquet di un giocatore pronto ad apprendere spiegazioni e a rubare con gli occhi i segreti del mestiere.

Gli aiuti in raddoppio, gli interventi sulle corsie di passaggio grazie a un fisico slanciato ma non pesante lo rendono agile per dar fastidio sul perimetro ma anche sotto canestro dove non è un muro ma occasionalmente si può unire allo sciame per portar confusione o panico nell’attaccante con la sfera in mano.

Cosa gli riserva il futuro è difficile a dirsi, bisognerà vedere il prossimo mercato in casa Hornets con un paio di centri in scadenza e l’incertezza su Zeller (qualche volta coach Borrego non disdegna quintetti piccoli con un’ala grande come centro) mentre P.J. al momento non sembrerebbe attaccabile come PF.

Potrebbe, per ora, essere un buon comprimario se la testa sarà quella descritta da Borrego (un suo inscusabile comportamento erroneo extra cestistico aveva messo in dubbio la sua capacità di esser utile e costante per il team).

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03) Terry Rozier: 6,31

Terry Rozier è arrivato a Charlotte con l’inevitabile etichetta addosso di sostituto dell’insostituibile Kemba Walker.

Lui sapeva che stavano pensando tutti a Charlotte, quindi lo ha anticipato a settembre.

“Non sono Kemba”, ha affermato Rozier giorni prima del training camp.

Non solo non era un All-Star come Walker ma era anche un panchinaro ai Celtics.

Ad Atlanta, in 2 OT, ha raggiunto il massimo in carriera con un 8/13 da 3 punti che ha contribuito a portarlo a 40 punti.

James Borrego, prima ella partita aveva detto che Rozier è diventato un tiratore d’élite della NBA. Gli Hornets lo stanno pagando circa 19 milioni all’anno, una follia in prospettiva a inizio stagione pensarlo in base al pedigree del giocatore.

Scary però si è messo sotto e il suo spirito guerriero lo sta portando sopra le aspettative dei fan, almeno in attacco, essenziale per restituire qualcosa di ciò che si è perso con Walker.

“Terry è stato fantastico”, ha detto Borrego.

“Ha superato le mie aspettative.”

Rozier avrebbe dovuto giocare da playmaker ma la veloce ascesa di Graham ha fatto si che Terry, pur conservando le proprie caratteristiche diventasse un po’ più guardia tiratrice con diverse caratteristiche dei due sovrapponibili in una fusione che ha portato i “Buzz Brothers” a essere una minaccia nel tiro da fuori l’arco ma non solo, anche con la palla in mano per capacità di distribuire assist, cosa che Terry, anche se in forma minore del compagno, continua a fare come una specie di creatore quasi secondario.

“Ha abbracciato il suo ruolo”, ha detto Biyombo.

Terry si è adattato a un sistema non facile da comprendere immediatamente fidandosi dell’entourage.

Forse Rozier è andato oltre sé stesso prendendosi sicuramente responsabilità importanti in momenti che contavano in tante partite per toglier pressione al giovane Graham.

Un ragazzo che mi piace mentalmente perché cerca di dare il massimo, è duro con sé stesso in quella ricerca di migliorarsi che porta all’impossibile perfezione.

“Ovviamente, non sono soddisfatto per il semplice fatto che posso dare un po’ di più”, ha detto Rozier.

“Questa è la cosa buona di me: cercherò sempre di fare meglio”.

Terry ha alle spalle solo quattro anni con i Leprechaun ma a Charlotte i tanti giovani nuovi giovani giocatori arrivati lo rendono uno nello spogliatoio, se non anziano, di fascia media (consideriamo lo svecchiamento del roster con MKG e Williams).

A Rozier piace essere il ragazzo intermedio: “Mi considero giovane. Ho giocato per quattro anni a Boston e sento di aver imparato molto. Sento che questo è il gioco: impari e poi insegni. Non ho tutte le risposte, ma odio perdere e sento che quello spirito competitivo si lega a tutto.”

Così “Scary” ogni tanto spara qualche partitona a livello offensivo ma aldilà dell’apporto determinante che da a livello offensivo in una delle squadre che più fatica a segnare in NBA è un giocatore che può trascinare la squadra a rompere momenti negativi durante la partita come break presi.

Il suo tiro da tre punti è stato spesso un’arma importante, purtroppo qualche volta, con pochi secondi sul cronometro gli è toccata la palla in mano cercando di essere l’eroe da game winner ma gli è sempre andata male.

Non è ancora stato il suo pane luno contro uno da eroe all’ultimo secondo, contro Toronto la difesa stretta ha limitato il suo tiro e a Cleveland la palla in combutta con il ferro gli hanno detto di no dopo una prestazione monstre negli ultimi minuti che aveva riportato Charlotte a una punto a punto dopo una delle prestazioni di squadra più deprimenti dell’anno che avevano scavato un solco importante tra i nostri e la squadra di Gilbert.

Forse la difesa a tratti è un po’ sacrificata, ha tenacia e gioco fisico sulla palla (come ha fatto notare Borrego) ma delle volte sui blocchi non è velocissimo e insieme a Graham sul perimetro forma una coppia alla quale sparano spesso in testa nonostante una media circa di 190 cm.

Tuttavia Terry rimane una piacevole sorpresa e non un altro giocatore strapagato con poca verve o capacità.

Alcune squadre potrebbero essere interessate a lui ma in questo contesto di crescita e di percorso verso i Playoffs, mi auguro possa far parte del progetto a meno di miglioramenti imprevedibilmente clamorosi sul mercato.

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02) Caleb Martin: 6,42

Gli scout dicono che dei due gemelli sia quello con più talento e un po’ a sorpresa, anche per il minor numero di partite giocate con voto valido (se ve ne fossero di più probabilmente con qualche prestazione opaca o sufficiente la media si abbasserebbe un pochino), eccolo qui sul podio con media altissima.

Era quello tirato dentro per miracolo dalla porta di servizio quando gli Hornets scelsero Cody Martin e quello messo in disparte per la prima squadra, eppure mostrava punti nelle mani e discreta difesa.

Ultimamente si sta affermando come buon giocatore dalla panchina perché Borrego vuol provare e lui lo ricompensa con energia, difesa e anche qualcosa in attacco con attacco e difesa invertite rispetto a ciò che avevo visto in lui con Charlotte in preseason poiché non è ovviamente la stella primaria alla quale affidar palla in fase offensiva e deve migliorare sulle penetrazioni mentre l’ho visto compiere tagli molto buoni.

“Sto trovando il modo di dirigere l’attacco trovando canestri qua e là. Non sono statistiche rilevanti perché abbiamo già ragazzi (in squadra) che lo fanno”, ha detto Martin.

Nelle sue ultime due partite, Martin ha realizzato i punteggi più alto della sua carriera con 19 pt. a Miami e 23 punti ad Atlanta.

Atletismo (sottovalutato dai più) e velocità ci sono come la voglia di far bene su ambo i lati del campo.

In genere si mostrano solo le azioni andate a buon fine ma qui, all’inizio, Caleb Martin mostra doti atletiche sopra la media non andando a segno per la schiacciata dell’anno solo per l’opposizione fisica del difensore dei Pistons che limita il range del suo volo. Alla fine della stessa clip, ecco come Martin, senza paura vada a recuperare in velocità negando un canestro a Detroit.

Gli vengono concessi molti più minuti oggi, ha mani sicure anche se non arrischia passaggi come il fratello Cody (più TO e assist per il fratello), nella gara contro gli Hawks ha messo in mostra un buon tiro da fuori con uno strano scatto delle gambe ma funziona e la dimensione perimetrale se dovesse essere confermata con buone percentuali lo porterebbe quasi certamente a ritagliarsi un discreto ruolo dalla panchina anche per l’anno seguente, salvo stravolgimenti.

All’occorrenza non ha paura di buttarsi dentro e l’impegno difensivo c’è, stesso sangue del fratello ma a volte è eccessivo.

Nella gara contro Atlanta (la 64) ha fatto vedere molto del suo potenziale offensivo ma ha commesso almeno due errori che alla fine son costati la partita con difesa troppo aggressiva specialmente per il close-out che ha determinato i FT contro e la differenza finale.

Sa prender lo sfondamento ma la sua gioventù lo porta a eccessi come appunto il fallo su Hunter che ha portato ai liberi che hanno deciso la partita con Atlanta.

I gemelli da “Nevada” sembrano all’apparenza tipi decisi ma non dovrebbero creare problemi nell’ambiente a Charlotte.

Borrego li sta inserendo in un contesto dove possono dare velocità (ideale per la transizione), energia e buone capacità deduttive sull’azione in corso, talvolta eccedendo nel mezzo fisico come si diceva.

Al momento però sembrerebbero essere perfetti dalla panchina per mettere in difficoltà a uomo o con zona match-up sia da portatore di pressing sulla palla che lontani dalla stessa, gli avversari che si alzano dalle panchine.

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01) Devonte’ Graham: 6,50

Graham è il figlio di un’evoluzione che non l’aveva previsto.

Avrebbe dovuto partire dalla panchina ed essere più o meno relegato lì, il minutaggio da stabilire a seconda delle sue prestazioni ma lui è andato oltre le aspettative, ha eclissato un Bacon che si è eclissato mentalmente nell’ambiente di Charlotte lasciando spazio in pianta stabile a un ragazzo che si è trovato nello starting five ma non solo, in assoluto anno di brackout nel suo year da sophemore.

Una media molto alta, impossibile chieder di più a un ragazzo che, se Rozier sulla carta sta sostituendo Kemba, sta andando a cercare di non far rimpiangere Jeremy Lamb, pur con caratteristiche differenti.

Deve un po’ migliorare in penetrazione, probabilmente Borrego chiederà anche questo a un ragazzo che in un anno è passato da elemento quasi sconosciuto a fulcro dell’attacco degli Hornets.

Devonte’ o “Tae”, per gli amici “Gamberone”, non solo, infatti, è un ottimo scorer e buon realizzatore da tre punti (tra i primi della lega per bombe realizzate) ma è anche un ottimo passatore, talvolta anche da drive and kick.

I suoi tiri siderali un po’ alla Curry, alla Lillard o alla Trae Young talvolta, stanno contribuendo ad allungare paurosamente quel range di tiro in NBA che sta diventando sconfinato.

Abbiamo qualche esempio di tiro pesante sganciato da Devonte’ con freddezza in finali nei quali ha risolto una partita in bilico (A Brooklyn, a Cleveland e a Miami per esempio) e questa sua caratteristica lo rende molto pericoloso quando entra nella metà campo avversaria.

Non per questo ostenta sempre il suo tiro ma varia la soluzione con un buon numero di passaggi, spesso illuminanti e smarcanti.

Non sembra essersi montato la testa, viaggia ancora con umiltà e quello spirito agonistico che lo portano ad avere consapevolezza e fiducia nei suoi mezzi.

Qualche schema migliore attorno a lui lo si potrebbe portare, spesso è lui a farli partire ma a oggi va bene così.

A Parigi vediamo come Graham, dopo essersi ricollocato con un veloce spostamento laterale, batta il difensore creandoda sé stesso l’attacco sullo scarico esterno di Rozier.

Un anno di crescita importante sperando che il virus, oltre a rallentare le “umane attività” non faccia altrettanto con il suo sviluppo come giocatore ma non credo vista l’etica del lavoro e la voglia di migliorarsi che ha messo in campo la scorsa estate.

Non deve pensare di essere arrivato come fanno alcuni giovani commettendo l’errore più grande della loro carriera ma deve continuare a lavorare seriamente e in questo Devonte’ penso possa darmi garanzie a livello di serietà e leadership nello spogliatoio.

La scorsa estate ha lavorato molto come scrivevo e i numeri in questo caso non mentono anche se vanno presi in considerazione del fatto che nella precedente regular season fosse quasi un signor nessuno con poco minutaggio mentre ora per la situazione venutasi a creare è uno dei pilastri della squadra.

A voler esser pignoli bisognerebbe che raffinasse e ottimizzasse il suo gioco in funzione di aver percentuali migliori al tiro, sovente sono appoggi contrastati, da due punti ma dopo aver rubato qualche movimento all’ex Walker, ultimamente ci ha fatto veder anche qualche movimento alla Parker contro Denver con arresto in corsa e finta aspettando il passaggio in salto a vuoto per depositare da sotto.

L’arma più prolifica degli Hornets, “insidiato” solo da Rozier, aujourd’hui sembrerebbe essere la scoperta più promettente di Kupchak, novello Indiana Jones, anzi no, forse meglio come: giovane “Charlotte Jones” e le sue avventure…

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Nota a margine per Borrego che, nonostante il voto sotto il 6 (per demeriti ma anche risultati) sta facendo un buon lavoro di sviluppo dei giocatori in primis.

E’ riuscito a cambiare qualche partita in corsa con zona o aggiustamenti e ha fatto i suoi errori tattici mentre vorrei vedere qualche gioco più complesso per portare Graham ad avere spazio per andare verso il canestro e alternare il suo gioco di passaggi e triple.

Anche lui sta crescendo con la squadra e ha vinto più partite di quelle che ci aspettavamo, ecco perché nonostante la media voto sotto il 6, per me è promosso e meriterebbe fiducia per la prossima stagione con un nucleo da valorizzare e far ulteriormente crescere.

Per chiudere vediamo le statistiche dei singoli, i voti partita per partita (raccolti) dalla 45 alla 65 e la media classifica se dovesse chiudersi oggi la stagione.

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Informazioni su igor

La mia Hornetsmania comincia nel 1994, quando sui campi della NBA esisteva la squadra più strana e simpatica della Lega, capace di andare a vincere anche su campi ritenuti impossibili. Il simbolo, il piccolo "Muggsy" Bogues, il giocatore più minuscolo di sempre nella NBA (che è anche quello con più "cuore"), la potenza di Grandmama, alias Larry Johnson, le facce di Alonzo Mourning e l'armonia presente nella balistica di Dell Curry, sono gli ingredienti che determinano la mia immutabile scelta.