Malik Monk, l’assente…

Ci sono attualmente dieci player in NBA che si trovano fuori dai giochi (spiccano i quattro del blocco di Chicago: Markkanen, Arcidiacono, Hutchison e Satoransky) a causa del virus denominato Covid-19.

Gli Hornets attualmente e fortunatamente non ne hanno in questa preoccupante lista ma penso che tutti gli addetti ai lavori si ricordino l’unico giocatore tra le nostre fila che di recente ha avuto a che fare con questo virus.

Andiamo a vedere, sulla base di un articolo recente del Charlotte Observer con mie scorribande all’interno del pezzo, ampiamente modificato, che fine ha fatto Malik Monk.

La guardia degli Charlotte Hornets Malik Monk ha detto che è stato fortunato a riprendersi dal Covid-19 in quattro giorni.

Ciò non significa che la malattia non l’abbia spaventato.

Mercoledì Monk ha detto al Charlotte Observer che sua nonna è morta a causa del virus la stessa settimana in cui è risultato positivo al test a dicembre.

“È morta in quattro giorni, mentre io ho scacciato la malattia negli stessi giorni”, ha detto Monk in un’intervista telefonica da Dallas.

Monk, undicesima scelta al Draft 2017, non ha giocato nelle prime sei partite di stagione regolare.

Rimane – dopo gli ingressi dei due centri rookie’s – l’unico player nel roster degli Hornets (senza contare i two-way) a non essere sceso tra le linee del rettangolo di gioco.

Il virus gli è costato una settimana di allenamento e ha danneggiato la sua condizione fisica per un paio di settimane ma se qualcuno si stesse chiedendo se Monk fosse pronto a rientrare – visto che la domanda che tutti i tifosi di Charlotte si fanno è: “Perché non sta giocando”, la risposta ce la fornisce lo stesso Malik dicendo che a oggi non c’è nulla che (fisicamente) gli impedirebbe di calcare il parquet, il che crea ancor di più un alone di mistero intorno alla promessa dei Calabroni.

Monk nei corridoi dello Spectrum Center. Photo by Kent Smith/NBAE via Getty Images

Già, nulla gli impedisce di giocare tranne una cosa: coach Borrego.

Panchinato dietro Bridges, Ball, McDaniels, i gemelli Cody e Caleb Martin, la sua stella si sta momentaneamente offuscando.

E’ vero che in posizione di ala e di guardia quest’anno il roster sembrerebbe essere più profondo rispetto lo scorso ma le difficoltà di Graham e di qualche compagno di squadra avrebbero potuto farlo scendere sul parquet per dare una spinta alla squadra dato che si tratta un giocatore che, se in serata, può accendere la fiammella offensiva degli Hornets che ogni tanto, al minimo soffio di vento, si spegne.

Monk sarà free agent la prossima estate, gli Hornets però avranno il veto eventuale scegliendo se lasciarlo andare o pagare la team option da 7,3 milioni.

Ovviamente Monk è affamato… nel caso in cui gli Hornets decidessero di non puntare più su di lui vorrebbe mostrare agli altri team che cosa può fare, magari facendo una grande stagione.

L’aspetto motivazionale potrebbe essere un ulteriore aiuto per Charlotte: “Questo è un grande passo per mostrare cosa posso fare”, ha detto Monk (entrato nella sua quarta stagione da professionista) ma Borrego non sembra prendere ancora in considerazione questa ipotesi.

Ci si chiede se Monk abbia mancato in qualcosa, etica lavorativa o aspetto mentale, inteso come maturità fuori dal parquet.

Sul primo aspetto Monk dice: “Le persone non pensano che io lavori” comprendendo i dubbi sul secondo aspetto riguardo il suo passato non esattamente affidabile.

Monk ha detto di non essere stato realmente pronto per la NBA e l’allenatore dei Wildcats, John Calipari ha detto che avrebbe dovuto esser stato più duro con Monk al college di Lexington per prepararlo meglio per l’NBA.

Monk però lo scorso febbraio sembrava potesse svoltare, un breakout composto da 17 punti di media, 46% al tiro, una variegata gamma di soluzioni realizzative in 13 partite.

Sembrava poter iniziare l’era di Monk con la sua prima presenza in starting five il 25 febbraio scorso (contro i Pacers) ma la doccia gelata è stata immediata: sospeso a tempo indeterminato dalla NBA in base alle politiche antidoping sulle droghe.

La pandemia ha cancellato le residue speranze di reintegrazione del giocatore nella scorsa stagione ma durante la pausa NBA la lega l’ha perdonato anche perché la sua assunzione di colpe è piaciuta alle alte sfere della massima espressione della pallacanestro mondiale.

“Faccio tutto in silenzio. Non riesco a esprimere a parole quanto ho lavorato duramente. Due o tre allenamenti al giorno. Sto solo lavorando fino a quando non arriverà il mio momento.”

James Borrego ha detto che Monk non ha fatto nulla di male anche se non sta giocando.

“Non ho problemi con Malik. Sta facendo tutto quello che può “, ha detto Borrego.

“Riguarda più il gruppo intorno a lui che si è solidificato.”, eppure il GM di Charlotte Mitch Kupchak la scorsa stagione sosteneva che Monk fosse probabilmente il giocatore più dotato del gruppo ma “Kup” non impone a Borrego scelte tecniche e tattiche.

Forse quella degli Hornets è una strana strategia per tenere prigioniero Monk per non mostrarlo ad altri team o/e liberarlo e scatenarlo al momento giusto, magari l’idillio personale tra Monk e Borrego non esiste ed è di facciata oppure si può credere effettivamente al coach seguendolo sul discorso del gruppo ma l’ipotesi è più surreale della prima.

L’ipotesi meno complottista è che per la visione personale di coach Borrego (il quale sta dichiaratamente ancora frenando su Ball titolare), Monk rimanga dietro a ragazzi che lui ritenga più utili, abbiano più chimica e/o semplicemente lavorino di più in allenamento perché l’ex aiutante di Pop agli Spurs vuole accorciare le rotazioni e migliorare la circolazione della palla ma non è detto che questo tratto manchi a Monk, miglioratosi lo scorso anno anche in questo aspetto dopo essere arrivato a mostrare la sua esplosività, anche in transizione e aver reiterato il tiro da fuori che al college dava buoni frutti.

Monk è un giocatore completo in attacco ma forse viene ritenuto ancora un solista e “non piace” a livello cestistico”, eppure spesso gli Hornets si stanno affidando ai singoli per risolvere l’azione anche se in molte fasi muovono bene a palla riuscendo ad arrivare a numerosi assist a fine partita.

Monk asserisce che lo scorso febbraio stava diventando un giocatore NBA che finalmente aveva i minuti sul parquet che si era guadagnato.

“Mi stavo svelando. E adesso? È super frustrante, quando sai di poter aiutare molto.”

L’”attendente Monk” – scusate il gioco di parole forzato dal significato originario – è l’alunno mancante all’appello del professor Borrego.

Per ora non si vedono spiragli ma le cose possono cambiare in fretta e chissà che si possa aprire uno spiraglio anche per Malik a breve…

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Informazioni su igor

La mia Hornetsmania comincia nel 1994, quando sui campi della NBA esisteva la squadra più strana e simpatica della Lega, capace di andare a vincere anche su campi ritenuti impossibili. Il simbolo, il piccolo "Muggsy" Bogues, il giocatore più minuscolo di sempre nella NBA (che è anche quello con più "cuore"), la potenza di Grandmama, alias Larry Johnson, le facce di Alonzo Mourning e l'armonia presente nella balistica di Dell Curry, sono gli ingredienti che determinano la mia immutabile scelta.