NBA Together

In un periodo triste senza basket da giocare e da osservare, venerdì 17 aprile sono rientrato un po’ in atmosfera cestistica partecipando con piacere e un po’ d’emozione, in qualità di “portavoce” dei fan italiani degli Hornets a una delle puntate di NBA Together che i competenti e simpatici giornalisti della Gazzetta dello Sport, Riccardo Pratesi e Davide Chinellato stanno conducendo per tastare il polso alla fanbase nostrana.

Cercando di far da portavoce del “sentimento” attuale dei fan degli Hornets (al pari dei rappresentanti Hawks, Mavs e Spurs nell’occasione), possiamo tirare alcune somme su una stagione che è rimasta sospesa come il futuro di molte persone e chissà che la riflessione in un mondo che viaggia veloce, non lasciando troppo spesso spazio per noi stessi, sia buona e utile pratica per il futuro.

Vi propongo qui sotto il video andato in onda con la mia parte d’intervista oltre ai saluti finali dei partecipanti.

Come trait d’union al discorso, per curiosità ho scaricato recentemente da una notissima piattaforma on-line, proprio un libro di Riccardo Pratesi intitolato: “30 su 30.”

Riccardo è un giornalista della Gazzetta dello Sport che ha viaggiato per l’America fotografando “lentamente” in questi anni (il contesto spaziotemporale varia leggermente da franchigia a franchigia a seconda della visita) scorci d’America per dipingere un preciso affresco dalle multi-sfaccettate e complicate sfumature che compongono, non solo la realtà delle franchise americane, ma anche il contorno delle città che le ospitano.

Si “parla” di ciò che si respira e ciò che gravita intorno alle varie città per finire nel cuore della squadra NBA e non solo, poiché spesso si parla di NFL e del rapporto tra team nella stessa area, con città che magari sgomitano per trovare consenso e spazio economico in quel contesto urbano.

Ogni capitolo ha un’aura particolare che rende l’idea sul come si viva la pallacanestro e non solo in quello spicchio peculiare d’America.

Mi sono approcciato con spirito neutrale a questo libro, generalmente sono abbastanza scettico su certo giornalismo moderno, su molti autori attuali o pagine che fanno del sensazionalismo per far apparire grandioso ciò che non lo è poiché lo spirito del nostro tempo è ovviamente commerciale.

Pur in corso di lettura, la voglia di scoprire tutte e 30 le squadre da chi le ha toccate con mano da cronista e insider è tanta, perché gli ambienti sono descritti con oggettività, al di fuori dagli stereotipi, alla ricerca della verità in un viaggio vivo dell’autore dentro il cuore dell’America raccontata oggettivamente e crudamente con una breve introduzione scevra da ipocrisia, perbenismo e fanatismo, coerente con i fatti che nel caso dei giocatori citati nel libro va oltre la superficie e la maschera che essi indossano durante le interviste di rito.

Sarà anche a causa del modo coinvolgente e appassionante, che, secondo la mia opinione, questo libro si trasforma in un punto di vista privilegiato e ideale per chi voglia scoprire alcuni aspetti della recente NBA che sta accompagnando la vita di noi appassionati.

Personalmente mi sento di consigliare questo libro (il prezzo della versione on-line è super accessibile e mi sarei perso qualcosa a non leggerlo) a chi è amante del genere e vuole scoprire realmente questo pianeta senza farsi abbagliare dallo scintillio delle stelle NBA.

Giusto per toccar qualcosa di concreto… si parte con l’Atlanta della Coca Cola, delle Olimpiadi e dei bassifondi per passare all’Olimpo dei Warriors con le loro alchimie e i fratelli Curry, ci sono ancora i Bobcats (non ancora Hornets) in un capitolo dove si racconta più di Duke e North Carolina nella “Terra del Basket”, sperando che i nostri Calabroni possano riemergere nell’interesse di un pubblico potenzialmente interessato ma aggiungerei io, imborghesitosi troppo rispetto a quello degli anni ’80 e ’90.

Storie personali, aneddoti, stralci di interviste rendono leggero e piacevole il libro che va a toccare tutte e trenta le squadre NBA e può diventare anche consiglio di viaggio per chi un giorno (free da Covid 19) si vorrà recare negli Stati Uniti.

Entriamo ancora nella tematica guadagno, città, proprietà, fanbase e franchigia per cercar di capire se e come la cosa possa ffunzionare.

Nel video soprastante, se non l’avete ancora guardato, abbiamo toccato tematiche come quella su Michael Jordan e la voglia di portare i Calabroni in alto.

Qui dobbiamo intenderci; per i fan delle varie squadre i risultati sono importanti perché si vorrebbe sempre vedere la propria squadra ad alti livelli vincere qualcosa ma la visione di Riccardo mi ha dato il noumeno nascosto aldilà del fenomeno sportivo che si pone davanti agli occhi di noi tifosi.

Per un fan è ovvio che il franchise cerchi il successo ma proprietario potrebbe non esser fondamentale.

E’ assolutamente vero che si cerchi di lavorare per migliorare la squadra ma fino a che punto un proprietario e/o un entourage vogliono o possono farlo?

I proprietari della NBA sono principalmente uomini d’affari con una visione a stelle e strisce lontana dalla nostra anche se si chiamano MJ e hanno avuto una personale e feroce voglia di vincere sul campo.

Quanto dello spirito di MJ emergerà nei prossimi anni per aiutare Charlotte lo andremo a scoprire, noi fan Hornets abbiamo fiducia ma non incondizionata, in considerazione del fatto che sul Boston Globe è apparso recentemente un articolo che sostanzialmente svelava il fatto che in un incontro nel Principato di Monaco, la scorsa estate, mentre Kemba Walker si trovava lì per un evento Nike insieme alla sorella, avrebbe ricevuto da Jordan una specie di saluto, interpretato da Kemba come quasi un addio.

Fu lì che Kemba (prima del “saluto” di Jordan) iniziò a chiedere qualche informazione a Tatum su Boston, come si fa per possibili viaggi, senza però pensar a nulla di concreto.

Consideriamo che Walker aveva manifestato pubblicamente la frustrazione per non riuscire a raggiungere i playoffs e avrebbe voluto un team all’altezza, cosa che un giocatore come MJ ha capito profondamente ma trovandosi con le mani quasi legate dai contratti come quelli di Batum e le rifirme da player option estive di Williams, Biyombo e MKG non è riuscito a dare, ritenendo probabilmente inutile entrare in luxury tax.

Proprio per la sua attendibilità e oggettività, chiedo a Riccardo se secondo lui Jordan avrebbe potuto tentare di offrire di più a Walker per farlo rimanere o se sia stata la scelta migliore per tutti lasciare che i divergenti interessi si compissero.

La seconda e ultima domanda per lui è, se a Charlotte, secondo lui ci sarà spazio per tornare all’entusiasmo del pubblico più partecipe come quello dei primi Hornets.

C’è spazio per i Calabroni nella Terra promessa del basket per non esser schiacciati tra quello ad alto livello universitario e i Panthers (una “produzione” del successo Hornets) nella NFL?

Serviranno solo i risultati per scaldare il pubblico o questa squadra è destinata magari a emigrare per l’ennesima volta?”

Riccardo Pratesi:

1 – “Purtroppo credo che Jordan abbia perso Walker quando negli anni non è riuscito a costruirgli intorno un cast di supporto adeguato alle ambizioni di Kemba, tra l’altro un vincente naturale, come dimostrato al college, a UConn University.

In questa NBA i mercati più piccoli faticano a veicolare i brand di giocatori anche grandi, ma che rischiano di passare sotto silenzio, rispetto alle loro qualità, se nel contesto “sbagliato.”

Kemba è un naturale secondo violino a livello NBA ma ha dovuto agire da faro spesso solitario, agli Hornets.

Inevitabile che alla fine le sirene di una piazza come Boston, storica e con ambizioni immediate, abbiano avuto il sopravvento.”

2 – “I risultati saranno fondamentali per le prospettive di franchigia..

La realtà è che i rapporti di forza NBA sono molto fluidi, basti pensare al ribaltone dei Warriors che sono passati dall’essere una dinastia tra le più forti e celebrate ogni epoca alla franchigia col peggior record NBA nel corso di 12 mesi o a Memphis che per qualcuno rischiava persino la location e che invece grazie a un Draft sontuoso, con Morant e Clarke come scelte illuminate, vede d’improvviso all’orizzonte un futuro luminoso.

Chiaro che Charlotte debba combattere anche “per il territorio” a differenza di altre franchigie.

Nel senso che il North Carolina è terra di college basket.

Di Tar Heels, di Blue Devils, di Wolfpacks e di Demon Deacons.

Non ha la primogenitura nemmeno nella pallacanestro e deve comunque tener conto dei Panthers ma se Charlotte riuscisse a trovare, magari dal Draft, perché conquistare gli svincolati è impresa improba nonostante Jordan giocatore, per colpa anche del Jordan proprietario, un grande personaggio oltre che un grande giovane talento, ecco che potrebbe cambiare tutto.

Sarebbe il canestro più bello, per gli Hornets.”

Proprio in questo periodo di Covid-19 nel quale alcune persone (per le altre non ci sarà mai speranza) stanno riscoprendo il valore di lavoratori come medici, infermieri e tutti coloro che garantiscono un servizio nel terziario per portare beni essenziali sule proprie tavole, pur permanendo in un contesto “obbligato” di accesso al credito al quale non ho mai creduto, mi preme ringraziare diverse persone partendo da questo presupposto…

Senza i fan la NBA, pur con le loro straordinarie stelle, non sarebbe nulla, in questo caso, parte dell’identità delle star viene dal riconoscimento dei fan.

Se non ci fosse l’interesse della gente qualsiasi macchina da soldi non si muoverebbe, niente business, niente “pari opportunità” di vincere un titolo, concetto che si sta un po’ perdendo anche nel mondo NBA nonostante il tetto salariale, niente di niente.

Ringrazio quindi molto Filippo Barresi per aver girato il mio contatto a Riccardo Pratesi (anche per la disponibilità ulteriore nel rispondere alle domande) e Davide Chinellato (ovviamente ringrazio ancora) , Matteo Vetralla come “first fan” dei miei scritti che mi ha spinto a continuare a lavorare nonostante la fatica del lavoro renda questo hobby non retribuito difficile da continuare come un moderno Sisifo che continua a spinger sulla montagna quel masso che cadrà dalla rupe per andarlo a riprender ancora e ancora ma forse il bello è proprio questo, sta in quella freccia tesa che scagliata continua a viaggiare all’infinito che è tesa al bersaglio ma non l’ha ancora raggiunto, è la passione e la scoperta che sta nel viaggio.

Ringrazio “Max Jordan” che qui sulla piattaforma di Playitusa.com, essendone il Deus ex machina) mi lascia libero di utilizzare il mio stile poco omologato e poi sicuramente mio fratello Daniele che laureatosi in lingue mi da una mano su espressioni particolari o dubbi per le traduzioni in inglese, mia madre il quale lavoro mi permette di aver più tempo per la mia “follia notturna” nel seguir tutte le partite dei Calabroni.

Altresì un “doumou arigatou” o “thank you” va a Fabio Dajocchi, il mio attuale capo reparto, persona stimabile che mi ha permesso il break per poter registrare la puntata, Alberto Figliolia, altra persona intelligente e stimabile che mi fornisce di materiale sul basket in generale, tutti i ragazzi del gruppo FB degli Hornets che sono tanti, per citarne alcuni: Paolo Motta (che ho avuto il piacere di conoscere e vi sono dei live sulla sua esperienza a Charlotte), gli amici Flavio Berra e Guido Zanella, i coach Matteo Vezzelli ed Erik Chialina (con il primo a darmi una mano talvolta su lavagnette tattiche e le nostre follie su possibili declinazioni nello sviluppo dei movimenti segnati da Borrego), Luca Barbieri (uno dei colpevoli della mia passione Hornets), il simpatico Iacopo di Pancrazio, Gastone Dal Molin (frontman principale ai vecchi tempi dei New Orleans Hornets), Daniel Saviola Gasbarrini, Emanuele Paradiso, Luca Giordano, Matteo Spelat from Polska, Michele Conte from Brasil, Francesco Miscio, Gabriel Greotti fan dei Celtics con il quale ogni tanto collaboro, Mario Fammelume e la sua passione al contrario per Batum come tormentone, Matteo France, Simone Bernardi, Riccardo Pozzi, Giovanni Oriolo, Giuliano Marchetti, Riccardo Percuoco, Marco Degli, Gian Luca Cogliati, Jacopo (da Genova), le amiche Giuliana Gasparini, Anita Margetin, Elena Gazzato e diverse colleghe del lavoro per il supporto morale e a tutti i ragazzi del “Campetto di Via Trento” che in questi anni hanno condiviso il gioco e la mia passione, chi ha abbandonato per seguire la sua strada negli studi o lavorativa o chi ancora oggi viene quando possibile nonostante il peso del lavoro come l’amico Andrea Coniglio (cognome uguale a un mitico personaggio interpretato da Paolo Villaggio) che ringrazio anche per la gentilezza della maglia color purple fattami portare da Charlotte.

Speriamo quindi che si possa riuscir a tornare a giocare a ogni livello senza pericoli il prima possibile, dal basket guardato NBA a quello giocato sui campetti dagli appassionati.

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Informazioni su igor

La mia Hornetsmania comincia nel 1994, quando sui campi della NBA esisteva la squadra più strana e simpatica della Lega, capace di andare a vincere anche su campi ritenuti impossibili. Il simbolo, il piccolo "Muggsy" Bogues, il giocatore più minuscolo di sempre nella NBA (che è anche quello con più "cuore"), la potenza di Grandmama, alias Larry Johnson, le facce di Alonzo Mourning e l'armonia presente nella balistica di Dell Curry, sono gli ingredienti che determinano la mia immutabile scelta.

Un pensiero su “NBA Together

  1. Grande Igor…sono contento di averti conosciuto prima sulla pagina degli Hornets e poi dal vivo…continua così…torneremo a smadonnare tutti insieme per i nostri colori…forza Hornets!!!

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