A cosa si riferisce il testo che state per leggere? E’ un’articolo scritto dal giornalista freelance Matt Crossman (fotografia di Logan Cyrus) sul quale ho lavorato, traducendolo in italiano.
Data la lunghezza, ho tagliato alcuni punti e cercato di migliorare la comprensibilità del testo. Un ringraziamento speciale va a Daniele Ferri per il prezioso aiuto.
Tratta della nascita della franchigia e del primo anno della squadra nella NBA, vista dal punto di vista dei protagonisti, con simpatici aneddoti e storie inedite:
CHARLOTTE HORNETS 1988/89
Per ogni partita che hanno vinto, ne hanno perse tre.
Non avevano superstar. Erano scarti, ma nel 1988, la versione inaugurale degli Charlotte Hornets prese comunque il via. La storia di quella stagione però vive.
CAPITOLO 1
PARTE 1
“CHI DIAVOLO E’ GEORGE SHINN?”
RICK HENDRICK, proprietario di Hendrick Motorsports e Hendrick Automotive Group, ma soprattutto investitore originario degli Hornets:
“George Shinn mi sostenne quando lavoravo nel settore automobilistico.
Era un mio cliente, poi quando ebbi la mia prima concessionaria, investì insieme a me.
Così George ed io divenimmo amici.
Max Muhleman (un agente di marketing sportivo), mi stava aiutando nel settore corse.
George guardò le mie operazioni nelle corse e disse che voleva fare qualcosa nello sport.
Così dissi: “Max, chiama quest’uomo”.
FELIX SABATES, proprietario di yacht, auto concessionarie e investitore originario della squadra: “Uno dei miei amici è stato il direttore operativo di First Union Bank, un signore di nome John Georgius. Mi chiamò e mi chiese se volevo sedermi per incontrare George Shinn.
Dissi: “Chi diavolo è George Shinn?”
“Ero già coinvolto con lo sport professionistico in questa città, avevo portato il football professionale della defunta World Football League a Charlotte. Naturalmente sono stato coinvolto nelle gare automobilistiche. Ho incontrato George e abbiamo discusso su alcune possibilità di proprietà”.
GEORGE SHINN, fondatore e proprietario di maggioranza:
“Ho provato con il baseball. Ho chiamato Bobby Brown che all’epoca era il presidente dell’American League. L’avevo già incontrato prima ed eravamo diventati abbastanza buoni amici. Gli ho chiesto se avesse voluto condividere con lui il mio valore finanziario e avrei voluto che lui mi dicesse che sarei stato in grado di possedere una squadra di baseball. Quello era il mio obiettivo finale.
Ho anche parlato con Peter Ueberroth (ex commissario della Major League Baseball) per cercare di ottenere una squadra di baseball a Charlotte. Peter mi disse che Charlotte era troppo piccola. Questo fu ventisei anni fa. Per chi legge, siamo nel 2014.
Semplicemente non avrebbe funzionato, troppe partite, semplicemente troppo. Secondo Ueberroth serviva un mercato molto più grande per la Major League di Baseball.
Così, dopo aver lasciato l’ufficio di Ueberroth, andai direttamente alla sede NBA e scoprì che si stavano espandendo.
In altre parole, il baseball mi ha chiuso la porta in faccia, il basket no.
Hanno lasciato la porta semiaperta, ma ho dovuto mostrare loro alcune cose.
Abbiamo venduto i biglietti, abbiamo dovuto fare alcune cose prima, avevamo anche Max Muhleman (l’esperto di marketing sportivo assunto da Shinn):
Siamo andati a trovare il commissario NBA David Stern nel suo ufficio di New York.
Ci sedemmo sul divano.
Tirò fuori un grosso sigaro, lo puntò verso di noi (in stile Hannibal Smith, la mente dell’A-Team) e disse: “Perché Charlotte ?” Ero pronto a quella domanda.
Quello che feci fu mostrare Charlotte, non come un mercato metropolitano, ma come un mercato regionale. Immaginavo che l’area effettivamente interessata potesse andare dagli 80 ai 160 km”.
DAVID STERN, commissario NBA:
“Ricordo che George si avvicinò per chiedermi ufficialmente un franchising.
Era accompagnato dal governatore Jim Martin e da un paio di poliziotti statali a guardia del governatore. E questo piccolo “fagiolo saltellante” di nome George Shinn stava tenendo il suo discorso.
Onestamente, io non ero nemmeno sicuro di sapere dove fosse Charlotte era quando venne a parlarmi.
In realtà mi colpirono subito i dati del mercato, ma anche l’entusiasmo del governatore e di George. Fin dall’inizio fui un grande fan di Charlotte.
La realtà è che non si può misurare un mercato per le sue dimensioni. Bisogna misurare i soldi a disposizione dei consumatori, i dollari aziendali disponibili, l’avidità dei fan, la base in contanti dei tifosi che vengono da…, e la presenza o assenza di altri sport, che ha un impatto diretto sulle suite sales, ecc…”
SHINN; “A quei tempi c’erano undici città che stavano cercando di entrare nella NBA”.
HENDRICK; “Non ho mai pensato che avessimo una possibilità”.
PARTE 2
L’UOMO E LA SUA ARTE ORATORIA
(Shinn, Hendrick e Sabates viaggiano a Phoenix per presentare il loro lavoro per Charlotte in NBA il 20 ottobre 1986.)
SABATES:
“Quando arrivammo a Phoenix stavano ridendo di noi.
E ‘stato come:
“Chi diavolo sono questi cowboys, questi montanari del North Carolina?”
Eravamo; io, George Shinn, Rick Hendrick e Max Muhleman.
Ognuno andò a un cocktail party la sera prima della presentazione.
Persone provenienti da Miami (una delle altre tre città che poi otterrà una squadra in quest’espansione) camminavano intorno a noi con fare impettito.
Nessuno avrebbe parlato con noi.
Andammo al golf la mattina successiva prima della presentazione. Fu divertente.
Poi ci recammo a fare la presentazione al consiglio d’amministrazione. Ho intenzione di dirvi che George Shinn si alzò e fece assolutamente il miglior discorso che abbia mai sentito in vita mia.
Aspettò fino alla fine e poi esclamò:
“Ho 10.000 prenotazioni di biglietti per la mia squadra.”
“Ricordo Red Auerbach dei Boston Celtics, fu il primo ad alzarsi e cominciare ad applaudire. Lui si avvicinò e abbracciò George. Fu piuttosto emozionante”.
STERN:
“Ero a favore di Charlotte. Ricordo che fece una grande presentazione, perché George ha un po’ dell’oratore in lui”.
SABATES: “La mattina seguente, la prima pagina di un giornale di Sacramento, asseriva che l’unico franchising che a Charlotte stava per arrivare avesse gli archi dorati, alludendo ironicamente alla catena McDonald”.
MUHLEMAN: “E ‘stata una buona linea. In realtà mi sono divertito molto. Ho pensato che avessimo una storia migliore delle concorrenti. Quello che stavamo combattendo era una mancanza di riconoscimento”.
SABATES: “Due settimane più tardi, quando George mi chiamò e mi disse: “Abbiamo ottenuto la concessione”, penso che la persona più sorpresa dell’affare fosse proprio George Shinn”.
MUHLEMAN: “Venne a trovarmi Shinn, aveva un aspetto gessoso sul suo volto, pallido.
Io pensai:
“Oh, diamine, non è andata bene o qualcosa del genere.”
Andai verso la porta e mi disse con fare calmo: “David Stern mi ha appena chiamato…”
Gli risposi; “Sì, si?”
E Stern gli disse: George, oggi è il primo di aprile, ma questo non è un pesce d’aprile. Sei stato selezionato come N°1.”
Ci siamo abbracciati e versato qualche lacrima. Uno dei migliori momenti della mia carriera di marketing sportivo di sicuro. E’ stato incredibile ed ha continuato a esserlo”.
PARTE 3
I COLORI E UNA MASCOTTE
(Come Shinn ha convinto lo stilista Alexander Julian)
SHINN: “Alexander Julian è un famoso designer di Chapel Hill, è stato colui che si è inventato i colori”.
ALEXANDER JULIAN, designer di abbigliamento; (parlando con Shinn) “Hai qualche idea di quello che vuoi fare?” Shinn disse: “Sì, se è possibile, vorremmo utilizzare i colori che stiamo mettendo nel nuovo stadio che è in fase di costruzione. “Io dissi: “Bene, posso provare. Quali colori stai usando? “Ha detto teal (in italiano sarebbe un foglia di the’, ottanio, è un colore che ha diverse sfumature). Ho detto: “Beh, aspetta George, il teal è uno dei miei colori firma”.
Poi disse Carolina blue, io risposi allora: “Sì, mi sono tagliato e sanguino Carolina blu perché sono nato e cresciuto a Chapel Hill.” Continuò dicendomi bianco, infine mi disse rosa. Dissi: “Rosa, uh, OK. Beh, sai, tutto quello che posso fare, è provare. Inviami i colori”.
Verde acqua e viola sono i miei colori firma.
Così mi mandò i colori. Quello che lui chiamava teal in realtà era verde, più di quello che si potrebbe chiamare color germano reale, una foresta verde. Il mio teal è molto più sul blu, è un verde-blu combinato.
La ragione per cui l’ho usato per la moda insieme al viola, è che sta bene su tutto. Tutta la vasta gamma di colori della pelle dei giocatori della NBA, sembra esaltare tutti allo stesso tempo.
Quando ho scoperto che stava parlando di verde ci ho messo piede. Dissi: “Conosco i tuoi architetti che hanno scelto questo colore per il tuo stadio, tuttavia le vostre uniformi non saranno esattamente di quel colore, saranno il mio teal”.
Ha detto bene.
SHINN: “Voleva sapere quanto stava per essere pagato. Dissi: “Non ho intenzione di pagare nulla. Stai avendo il privilegio di fare questo per la prima franchigia sportiva professionale di una lega maggiore con base a Charlotte”.
Accettò di farlo, ma volle che gli mandassi in cambio dieci chili di North Carolina barbecue (dovrebbe essere del maiale tritato) per lui, ogni mese per i due anni successivi”.
JULIAN: “Shinn mi disse: “Posso Permettermi?” Dissi: “George, sarei onorato di disegnare le uniformi gratuitamente, ma se si vendessero delle loro copie, allora vorrei una percentuale del 5%.” Fece il grugno. Mi disse: “Non credo che io possa farlo.”
Dissi; “Sembra giusto, cosa c’è di sbagliato in questo?” Io non sapevo che si trattava del fatto che nella NBA vi fossero le entrate condivise.
Avrei potuto ottenere almeno sei cifre da George, ma… questo suona terribile da dire, davvero non avevo bisogno di soldi in quei giorni.
Ebbi quest’idea; a cosa serve il denaro se non si può comprare il maiale tritato?
Io lo chiamo il caviale della Carolina. Allora proseguii il discorso: “Io ti darò la proprietà del progetto per cinque libbre di Carolina barbecue al mese.”
Mi chiesero di riassumere l’intera esperienza. Io dissi: “Beh, George è diventato ricco ed io sono divenuto grasso. Ho scambiato 10 milioni di dollari di royalties per ingordigia”.
SHINN: “Dopo che il progetto fu approvato, dovevo scegliere un nome per la squadra. Decisi di fare una riunione con alcuni vip di Charlotte per aiutarmi a scegliere un nome per la squadra.
La riunione si tenne negli studi WBTV. Mi ricordo che a un certo punto mi alzai e andai in bagno.
Quando tornai, avevano già in mente il nome della squadra: Spirit (Spirito).
Dissi: “Cosa?”
Il loro atteggiamento in merito era molto positivo. Mi dissero: “Guarda, hai realizzato quest’obiettivo contro ogni previsione. Nessuno pensava che ce la facessi. E’ lo spirito di questa città, è il tuo spirito ciò che ha reso possibile che questo accadesse”.
Così accettai con riluttanza e annunciammo che la squadra si sarebbe chiamata Spirit.
Il giorno dopo la notizia, accadde un fatto negativo che mi scoraggiò. Uno sportivo, credo che fosse tale Tom Sorensen (non ne sono sicuro), mi disse: “Quale sarà la mascotte di Shinn, Casper il fantasma?”
Ho pensato: “Mio Dio, mi sta prendendo in giro.” Pensai che fosse un errore. Così mi dissi: “Ok, lasciamo che siano i tifosi a votare, vediamo se Spirit piace come soprannome. Ovviamente indicammo altre opzioni selezionabili. Hornets era un nome travolgente e fu scelto.
Volevo ottenere la miglior mascotte, la mascotte più bella possibile. Dovevo trovare qualcuno che potesse realizzare un bel calabrone”.
CHERYL HENSON, designer e figlia di Jim Henson, il creatore dei Muppets: “Avevo recentemente completato una laurea in design tessile. Sono andata a colloquio con Alex Julian. Ha detto che era stato da poco coinvolto in questo progetto per fare le divise per gli Charlotte Hornets e mi chiese se ero interessata a fare la mascotte.
Dissi: “Questo non è proprio quello di cui mi occupo, ma conosco qualcuno che lo fa professionalmente. “Lui disse: “No, perché non fare un tentativo?”
Ho detto; “OK, farò una prova.” E’ qualcosa che sapevo come fare. Avevo fatto quel tipo di lavoro per i Muppets, ho costruito quindi la mascotte. E’ stato molto divertente.
Non avevo disegnato il personaggio. Il personaggio era già un logo grafico. Ho messo quel logo grafico in un costume corposo. Quello che mi è piaciuto di quello che ho fatto con lui, era che ho tenuto l’integrità del personaggio nel logo. Le scarpe grandi, le ali enormi.
Mi è piaciuta molto la scelta di Alex nei colori. Viola e verde acqua erano davvero innovativi all’epoca. Ho lavorato duro per ottenere i colori giusti. L’originale Charlotte Hornet aveva una luce lampeggiante alla fine dell’addome. Era un divertente e piccolo dettaglio.
Ho cucito a mano quasi tutto l’originale scolpito a mano la testa. Ero molto orgogliosa”.
PARTE 4
BOGUES
(Stiamo andando a prendere Muggsy)
SABATES: “Mi ricordo seduto con George. Lui disse: “Tu credi che stiamo andando a essere dei proprietari NBA?” Io: “Sì”. Lui: “Sai molto di basket?” Dissi: “No, e nemmeno tu, né chiunque altro qui. Dovremo portare qualcuno che sa quello che sta facendo.”
In quel momento ho suggerito di assumere Carl Scheer. Conoscevo Carl dal 1977.
Carl ci ha aiutato a mettere insieme l’organizzazione. Eravamo proprio come Scemo e più scemo. Non sapevamo cosa fare per qualsiasi cosa”.
CARL SCHEER, primo direttore generale della squadra: “George Shinn non sapeva niente di basket. Ma lui insistette per essere davanti e al centro nel noleggio del pullman. E’ la sua squadra e aveva questo diritto. Quasi ogni intervista che ho fatto, lui era lì.
Larry Brown guidava Kansas nella NCAA e vinse quell’anno. Era in Nebraska alle Regionali.
Ci siamo andati e lui gli ha parlato lì. Il progetto è naufragato velocemente.
Brown voleva tornare in NBA e aspettava occasioni.
E ‘stato un colloquio che ebbe come fattore determinante la domanda che posi davanti a George, cioè se pensava di poter gestire alcune stagioni con una sessantina di sconfitte. Lui fu abbastanza candido e mi disse che non pensava di riuscirci.
Dopo aver parlato con Tommy Heinsohn e Gary Williams da Maryland, tentammo con Dick Harter, lui era il più preparato coach che abbia mai visto. Indossava la camicia bianca, la cravatta e la giacca. Aveva ogni principio in cui Shinn credeva, dalla Bibbia, al Basket for Dummies. Doveva rispondere a ogni domanda di George. Non ero sicuro che fosse l’uomo giusto per una squadra d’espansione, in ogni caso era ben preparato. George lo amò fin dall’inizio”.
HAROLD KAUFMAN, primo nelle pubbliche relazioni in rappresentanza della squadra:
“Dodici ragazzi. In tale progetto d’espansione abbiamo scelto Dell Curry e abbiamo ottenuto Muggsy Bogues, in quel progetto d’espansione altamente improbabile, ci furono due giocatori che durarono dieci anni e diventarono un pezzo importante dell’organizzazione”.
SHINN: “Dick non voleva che noi prendessimo Muggsy, ma l’ho fatto perché stavo vendendo i biglietti. Ho chiamato (UNC) Dean Smith e ho chiesto Dean: “Vuoi prendere Muggsy? Dammi una descrizione di ciò che si pensa di Muggsy”. Egli disse: “Beh, una cosa che ho sempre detto ai miei giocatori quando stiamo giocando contro Wake Forest: “Se non vedi Muggsy, se non è nella tua visone, tieni la palla in aria, perché ha intenzione di portartela via”. Per me questo era semplicemente rispetto. Ho detto, “Stiamo andando a prendere Muggsy”.
SCHEER: “Abbiamo cercato di rimanere giovani e di costruire attraverso il progetto di rookie, ma era molto difficile farlo. Avevamo solo l’ottava scelta. Scegliemmo Rex Chapman da Kentucky come nostra prima scelta al Draft.
Abbiamo pensato che stesse per decollare. Abbiamo pensato che ci avrebbe dato l’emozione di cui avevamo bisogno. Abbiamo pensato che Rex Chapman sarebbe cresciuto per essere un giocatore eccezionale, ed era un buon player, ma lui non era il grande giocatore che ci aspettavamo che fosse”.
SABATES: “Mi ricordo la sera del draft. Si pensava stessimo andando a prendere un lungo. Io stavo lì con Dell Curry, avevo una birra in mano e riflettevo su chi stavamo andando a prendere.
Quando annunciarono Rex Chapman come prima scelta al nostro primo draft, ho pensato che Dell Curry stesse per avere un ictus proprio lì.
Dell venne a Charlotte pensando di essere la starting shooting guard (la guardia tiratrice titolare). Mi ricordo che gli dissi: “Guarda, non ti preoccupare.”
Lu mi disse: “Perché?”
Dissi: “George probabilmente ha scelto Rex perché riusciva a ricordare bene il suo nome.”
Scoppiò a ridere, ma era realmente preoccupato.
George uscì e disse: “Ehi, ragazzo, non ti preoccupare. Tu sei il nostro uomo.
Dell è stato con noi per molti anni, mentre Chapman non durò a lungo”.
CAPITOLO 2
PARTE 1
LA PRIMA STAGIONE
(Una stagione di primati. Grandi vittorie e secche sconfitte)
DAVE HOPPEN, un centro di 211 cm che ha giocato un totale di tre stagioni in due stint racconta un aneddoto: “Volavamo ancora su linee commerciali (oggi le squadre hanno aerei privati dotati di ogni conforto). Gli Hornets avevano stabilito una regola per la quale tutti dovevano avere almeno una giacca sportiva e una cravatta. Con il nostro primo autobus, stiamo andando verso l’aeroporto.
Kurt Rambis ha la giacca sportiva ma non ha una cravatta.
Non credo che la giacca sportiva fosse davvero abbinata ai pantaloni.
Credo che sia andato a comprarne una solo per l’occasione. Lui era molto informale.
Il coach si avvicinò a lui e disse: “Kurt, odio fare questo, ma tu sei uno dei nostri capitani. Hai un problema di abbigliamento. Tu non hai una cravatta ed io ti sto per multare per questo”.
Kurt gli rispose: “No, no, aspetti un secondo Coach”. Frugò nella sua borsa da palestra e tirò fuori questa vecchia cravatta, marrone su un lato e blu dall’altra. Era reversibile. Lui la sollevò fino al collo e disse: “Guardi, ho una cravatta.” Harter iniziò a ridere: “OK, è quello che conta.”
TOM TOLBERT, un giocatore che fu rilasciato nel mese di dicembre e poi tornò nella squadra per la stagione 1994-1995: “Era una cravatta in neoprene. Era nera su un lato e blu dall’altro.
Io non sono molto elegante. Odio le cravatte e non le indosso mai, ma non avevo mai visto una cravatta simile prima, quindi gli chiesi; “Dove l’hai presa, in un negozio d’immersioni?”
Era un oggetto incredibilmente assurdo anche per i miei standard, era orrenda.
“Mi ricordo di Kurt che mi diceva: “Guarda Tom, quando si tratta di moda, ognuno è libero, sono io, e ne ho prese tre.” Allora io gli dissi: “Tu non hai bisogno di tre di queste. Una basta”.
MUGGSY BOGUES, un playmaker di quasi 160 cm, giocatore preferito dai tifosi:
“Mi ricordo che aveva questa cravatta nella borsa, una sola per tutto il viaggio, per tutta la stagione. Qualunque cosa fosse, era nera un giorno e bianca il giorno successivo”.
KURT RAMBIS, free agent della squadra: “Era blu su un lato, grigio dall’altra, qualcosa del genere. Perché era in neoprene si poteva allungare, si poteva arrotolare e gettarla nella borsa.
Si poteva fare tutto quello che si voleva con quella cosa.
Un mio amico che lavorava per Body Glove, faceva in neoprene un sacco di protezioni che i giocatori usavano per le loro ginocchia, ecc., le quali avevano del velcro su di essa e quindi si potevano avvolgere intorno al ginocchio. Mi stavo divertendo un giorno e ne ho riprodotta una con quella cravatta.
Ero conosciuto per non vestirmi bene. Non mi piaceva vestirmi. Così ho pensato, “Oh, dobbiamo indossare cravatte? OK. Ho una cravatta per voi, proprio qui”.
TOM TOLBERT: “I giocatori con più anzianità ottennero la prima classe (già, perché purtroppo in America e non solo, sui voli commerciali esiste la “ghettizzazione” aggiungerei io).
Una volta esauriti i posti in prima classe, rimasero due giocatori per tre posti.
Mi ricordo il primo volo. C’era Dave Hoppen, 211 cm di altezza, non era nella lista di anzianità, così dovette andare a sedersi nella parte posteriore dell’aereo.
Ecco invece Muggsy Bogues seduto in prima classe, mentre Dave Hoppen si stava mangiando le ginocchia. Durante il volo Muggsy era seduto lì, con i piedi nel portariviste, dormiva. Qualcosa non sembrava del tutto normale”.
KELLY TRIPUCKA, capocannoniere della squadra: “Nessuno sapeva come fare le prenotazioni per salire sull’aereo, le uniformi non erano a posto, erano troppo grandi o troppo piccole. Eravamo un pasticcio. Eravamo un gruppo di disadattati che stava passando attraverso questi problemi”.
JULIAN ALEXANDER: “I pantaloncini furono considerati dai giocatori radicalmente lunghi e larghi, così Kelly e tutta la squadra, senza dirmelo, andarono dal mio sarto a Charlotte per farseli accorciare. Avevano paura di essere derisi per avere quei pantaloncini lunghi”.
PARTE 2
LA PRIMA PARTITA
(4 Novembre 1988: Cleveland Cavaliers @ Charlotte Hornets 133-93)
HOPPEN: “Apertura serale, sono andato a tagliarmi i capelli quel giorno. La ragazza non aveva idea di chi fossi. Mentre tagliava i capelli, disse qualcosa d’inerente al fatto che fossi alto.
Io dissi: “Beh, assicuratevi di fare un buon lavoro. Ci saranno milioni di persone che vedranno questo taglio di capelli stasera. “Lei disse: ” Di che cosa sta parlando? “Le rivelai che avremmo giocato in tv e che facevo parte degli Hornets. Iniziò a urlare nel negozio!”
HENDRICK: “La prima notte, quando siamo andati al Coliseum, i camion delle tv erano tutti lì, era come un ronzio. E si camminava mentre la folla era entusiasta. Non si poteva credere che fosse realmente accaduto… ero così orgoglioso per la nostra città”.
HOPPEN: “Abbiamo avuto una buona impressione, stavamo per essere supportati da una considerevole base di fan. Gara d’apertura serale. Si gioca contro i Cleveland Cavaliers. Cleveland aveva una buona squadra. Avevano Brad Daugherty, Larry Nance e Mark Price.
Avevamo appena giocato con loro un paio di volte in preseason.
Avevamo giocato abbastanza bene (nonostante le due sconfitte), ma loro non avevano impiegato tuti i loro migliori giocatori”.
BRAD DAUGHERTY, centro dei Cleveland Cavaliers, ex stella UNC: “Ero emozionato perché sono del North Carolina. Ero così eccitato che ci fosse una squadra professionistica di basket in North Carolina a Charlotte… Tornare a giocare nella partita inaugurale era divertente. Credo che insieme a Tripucka fossi raffigurato sui biglietti per quella notte.
E ‘stato divertente, un clima di festa. Un sacco di miei amici vennero. Mi prendevano in giro: “Sì, tifiamo per te, ma noi saremo con gli Hornets stasera. Ci stavamo solo ridendo un po’ su”.
TIM KEMPTON: un altro giocatore degli Hornets da Notre Dame: Venire fuori e vedere tutti in abbigliamento formale, gli uomini in smoking e le donne in abiti lunghi, ha fatto quella notte memorabile.
TRIPUCKA: “Eravamo tutti molto entusiasti di ciò che stava per accadere. Allo stesso tempo non sapevamo che cosa stesse per accadere. Grande entusiasmo, sicuramente tutto esaurito…
Abbiamo dovuto fare del nostro meglio per cercare di tenere questi tifosi interessati al basket professionistico. La maggior parte dei compagni di squadra aveva un sacco d’orgoglio e voleva iniziare bene. Abbiamo però anche dovuto essere realisti ed essere consapevoli che stavamo mettendo insieme un team composto di ragazzi provenienti da altre squadre e di rookies, il che avrebbe creato problemi se si voleva vincere una buona percentuale di gare. Stavamo per competere contro una buona squadra, Cleveland.
Avremmo voluto iniziare bene per avere il tipo di notte che avrebbe reso le persone fiere di noi.
Purtroppo la situazione degenerò abbastanza rapidamente”.
ROBERT REID, un veterano, ala piccola: “In un primo tempo, a causa delle nuove divise, avevamo tutti prurito alle nostre gambe. Fummo costretti a cambiare il materiale”.
SCHEER: “Siamo passati da 10 punti sotto all’inizio del gioco, a 40 alla fine della sfida. Tutto ciò in cui speravo era che l’orologio avesse un malfunzionamento per cercare di uscire da lì in fretta. E ‘stato il mio incubo peggiore, la partita stessa”.
TOLBERT: “La gara era andata molto male, nonostante ciò è stato bello. Ho apprezzato molto quel giorno. Mi ha colpito il mio primo canestro della mia carriera NBA realizzato con un tiro dalla sinistra. Ho pensato che avessimo una possibilità a quel punto”.
HOPPEN: “La cosa che davvero ci ha colpito, è stata prendersi una standing ovation nonostante ci fossimo fatti battere di quaranta punti”.
STERN: “E ‘stato meraviglioso a vedersi”.
DAUGHERTY: “Li abbiamo battuti davvero in malo modo. Ho pensato che il tifo fosse per noi perché avevamo messo su una performance stellare”.
BOGUES: “Non potevo crederci. Abbiamo pensato che il tifo fosse per Cleveland. Tuttavia, mentre camminavano fuori e Cleveland non era più in campo, stavano semplicemente impazzendo, Impazzivano, applaudivano e gridavano nei loro smoking e nei loro abiti, facendoci sapere il modo in cui ci apprezzavano”.
TRIPUCKA: “Con il cronometro agli sgoccioli, tutto a un tratto la folla si alzò in piedi e applaudì. Il mio primo pensiero fu: “Oh, questo è forte, ora fanno il tifo per l’altra squadra perché ci hanno ucciso. Ora stanno applaudendo le prestazioni dei Cavaliers”.
Poi tutto a un tratto mi accorsi che Cleveland aveva già lasciato il parquet. Ci rendemmo effettivamente conto che stavano facendo il tifo per noi. Per qualche strano motivo, perdendo di quaranta, non posso dire che avessero ottime ragioni, ma erano fieri di avere una loro squadra. Ti dico una cosa, da quel momento in poi, dopo aver ottenuto quel tipo di accoglienza, dopo essere stati spazzati via di quaranta punti, ci siamo resi conto che questo fattore avrebbe potuto essere qualcosa di buono”.
RAMBIS: “Ero un po’ imbarazzato alla fine. Venivo dai Lakers, dove avevamo vinto dei campionati. Quello era il mio modo di pensare, fare tutto il possibile per avere l’apporto dei tifosi”.
REID: “Siamo rimasti estasiati e felici che i tifosi siano rimasti e ci abbiano applaudito. Lasciate che vi dica una cosa però… quando rientrammo in quello spogliatoio, i giocatori più anziani, Kurt Rambis, Robert Reid, Kelly Tripucka ed Earl Cureton, quelli che erano stati in trincea, non avevano niente da ridere”.
TRIPUCKA: “Durante il corso dell’anno ho realizzato il primo punto, il primo tiro libero, tutti questi primati”.
PARTE 3
PRIMA VITTORIA
(8 Novembre 1988: Charlotte Hornets Vs Los Angeles Clippers 117-105)
SHINN: “Quel giorno ci fu una riunione per cambiare il nome dell’arena.
Io non volevo cambiare il nome. Volevo tenere Charlotte Coliseum.
La ragione è, che quando stavo cercando di ottenere una squadra, nessuno sapeva se Charlotte fosse in North Carolina, South Carolina, Virginia, West Virginia.
In tale riunione, mentre parlavo, il mio braccio sinistro si contrasse involontariamente più volte. Non avevo idea di cosa stesse succedendo. Mi ricordo quando lasciai la riunione, quando parcheggiai la macchina, stavo sudando.
Mi sentivo come se stessi per svenire. Grazie a Dio non fu così.
Mi sdraiai solo per un minuto e mi sentì meglio. Così mi alzai e andai in ufficio.
Spencer Stolpen che lavorava per me, tornando nel mio ufficio mi disse: “George, non hai un bell’aspetto. Sei pallido, ti vedo male. Qual è il problema?”
Gli dissi: “Nulla. Non sento di avere un problema. Mi sdraiai sul divano e mi addormentai. Dopo che mi ebbe svegliato, qualcosa non andava e mi portò in ospedale. Avevo avuto un ictus.
Le due settimane successive della mia vita sono state totalmente cancellate. Non posso dirvi tutto quello che è successo durante quel periodo, ma alla fine sono sopravvissuto alla cosa.
Avevo sempre il basket, tutti i giocatori firmati. Era la nostra prima vittoria e ho avuto un ictus proprio quel giorno. Sono quasi morto nel giorno della nostra prima vittoria. E’ stato bizzarro. E’ stata come una sceneggiatura cinematografica. Chi avrebbe scritto qualcosa di così folle come tutto quello che è successo?”
PARTE 4
“LA NASCITA DELL’ISTERISMO PER I CALABRONI”
(23 dicembre 1988, sulla tv nazionale: Charlotte Hornets Vs Chicago Bulls 103-101)
REID: “Quel che un sacco di gente non sa, è che la bestiale sconfitta contro Cleveland fu la nostra motivazione per sconfiggere i Bulls. Sapevamo che i Tori stavano pensando: “Se Cleveland può farlo, sarà facile. Non ci resta che andare lì. “Hanno perso la loro mente.”
Aggiungerei io, che i Bulls non si accorsero che il primo dicembre gli Hornets superarono i 76ers di Sir Charles Barkley 109-107.
TRIPUCKA: “Noi sappiamo chi c’è dall’altra parte, c’è Michael Jordan. Ha giocato il suo basket collegiale nello Stato. Avrà un sacco di tifosi tra la folla. Ma sai cosa? E’ un karma divertente, anche se quei tifosi sono lì quella notte, gli Hornets hanno la precedenza. Erano fan degli Hornets. Probabilmente volevano che Michael facesse bene, ma speravano di vedere gli Hornets vincere.
Per chi non ha potuto esserci, la tv nazionale (ahimè non internazionale l’aggiungo io), ha dato la possibilità di vedere che cosa fosse tutto lo scenario”.
KEMPTON: “Eravamo una squadra d’espansione. Tutti pensavano che ci massacrassero. A quel tempo, pensate che novità. Battendo i Bulls avremmo legittimato la presenza di Charlotte nella NBA. Come a dire che noi eravamo qui e c’era davvero una grande città per la NBA”.
BOGUES: “Abbiamo tenuto il possesso palla (si parla di fine gara). E’ venuta a crearsi una situazione in cui Kurt è riuscito a deviare la palla per la vittoria. Li sbalordimmo credo, come rimasti esterrefatti del resto tutti i presenti nell’arena”.
RAMBIS: “Abbiamo creato un’azione che ha finito per non essere finalizzata. Qualcuno ha tirato ma il tiro è andato corto. Poi è venuta fuori un’altra palla per me. Una delle cose divertenti che ricordo, è che ho dovuto spingere via Kempton per prendere il rimbalzo.
Mi ricordo che fu una partita molto frustrante per me. Non credo di aver giocato bene. Finalmente una buona cosa accadde al termine della partita. Fu un canestro importantissimo per quella partita e per me stesso. L’arena impazzì. Andò assolutamente in delirio”.
KEMPTON: “In assoluto il rumore dagli spalti dopo quel canestro è quello che mi ricordo. Questo è ciò che è stato così sconvolgente, quanto forte fosse il boato arrivato subito dopo il canestro di Rambis”.
KAUFMAN: “Quella è stata la nascita dell’isteria per gli Hornets. Quella fu la prima gara di 364 sell-out consecutivi in un’arena da 24.000 posti, nel mercato più piccolo del campionato. Era più di una storia di sport. E ‘stata parte della cultura popolare, l’essere un fan degli Hornets, d’indossare quei colori. E ‘stato un fenomeno culturale. Non era solo un evento sportivo. In termini di qualcosa che ha trasformato una città e un franchising per metterlo su un certo percorso, penso che quella sfida abbia contribuito più d’ogni altra cosa”.
PARTE 5
TEMPO DI DIVERTIMENTI
(La storia di Magic Johnson e la maglietta Hornets)
SHINN: “Io non sono un uomo di basket. Io non sono un esperto di basket. Ero un esperto però, nel capire le persone, cercando di fare del mio meglio per rendere le persone interessate.
Quando andavo alle partite, mettendo un certo tipo di musica, guardavo la folla.
Potrei dire dal modo in cui stavano rispondendo se gli piaceva quello che stavano guardando.
Queste sono cose che continuai a fare, cercando di dare di più per i tifosi (creare uno spettacolo), perché non avevamo ancora una buona squadra di basket”.
KAUFMAN: “Ho ancora la foto sul mio muro nel mio ufficio.
I Lakers con Magic Johnson, Kareem Abdul Jabbar e James Worthy erano quelli dello show-time, sempre al loro meglio. Allora stavamo introducendo la NBA nella nostra comunità. Se avessimo perso, ci sarebbe piaciuto chiedere a uno dei giocatori avversari di uscire e di essere la star del game show.
I Lakers vinsero. Chiesi a Magic Johnson se sarebbe venuto fuori a far la parte della “stella del gioco”.
Tra le 5.000 e le 10.000 persone erano in attesa di vedere quest’evento.
Abbiamo dato a Magic una T-shirt degli Hornets. Stava seduto lì, su una sedia sul parquet del Coliseum con 10.000 persone che lo guardavano, poi indossò questa maglia facendo impazzire i presenti.
Ho quella foto qui nel mio ufficio, Magic con quella maglia degli Hornets mentre sorride.
E ‘stato solo un bel momento per far divertire il nostro pubblico.
Non funzionerebbe oggi. Allora, si trattava di un mercato nuovo di zecca, un team appena nato. Queste persone sono venute per uno spettacolo. Amavano Magic. Non si trattava di vedere Johnson come l’artefice della sconfitta appena subita. Era Magic Johnson nella nostra città”.
PARTE 6
L’ALLENATORE
(L’incomparabile Dick Harter)
SCHEER: “Muggsy era probabilmente il nostro idolo locale.
Lui era molto basso. Però era anche il preferito di George Shinn.
Dick Harter voleva scambiare Muggsy. Ogni singolo giorno sarebbe venuto in ufficio a dirmi:
“Non si può vincere con una guardia di 5,3 pollici. Dobbiamo scambiarlo, dobbiamo commerciarlo”.
Ogni giorno gli rispondevo:
“Dick, è l’unico ragazzo per il quale George porrebbe un veto.
Lui non ha intenzione di commerciare Tyrone”.
Il mio suggerimento era di dimenticarselo. Ma lui non avrebbe dimenticato.
Finalmente mi disse: “Io prendo Shinn, OK?”
Ok, Tu ed io andremo a parlare con Shinn.
Egli disse: “OK.”
Si entra e ci si trova alla fine di questo lungo tavolo da conferenza.
Sono all’altra estremità con Harter. C’era l’eco. Io dissi: “OK. Dick, andiamo avanti.”
Mi voltai e non c’è Harter. O meglio… c’era, ma con le mani sulle ginocchia, col naso appoggiato sul tavolo della sala conferenze, a guardare l’orizzonte. Dick continuò:
“Questo è ciò che Muggsy vede quando sta giocando in difesa! Questo è quello che vede Muggsy!”
Guardai George e George non stava ridendo. Ero quasi pronto a scoppiare a ridere. Eravamo lì per parlare di un giocatore e lui era lì con le mani sulle ginocchia, col naso sul tavolo.
Quando ebbe finito, gli confessai:
“Dick, è la presentazione più creativa che abbia mai visto. Peccato che probabilmente sarete licenziato”.
SHINN: “Abbiamo avuto una riunione fuori dal mio ufficio. Dick disse: “Vieni qui, George. Rimani in piedi di fronte a me.” Lui si mise in ginocchio davanti a me. Egli disse: “Questo è il modo in cui Muggsy sta in campo. “Lui alzò le mani.”
Ricordo che dissi a Dick; “Guarda, mi fa vendere i biglietti perché è basso, ma è anche così veloce e rapido. Vogliamo tenere il ragazzo. E’ così semplice. Rimasi impressionato da quel che Dick stava cercando di dimostrare.
Un giorno mi stavo recando da qualche parte nella zona di Gastonia.
Ricordo che mi persi, non eravamo nell’era dei cellulari e dei navigatori. Così mi sono fermato in un negozio. Sono entrato e ho detto: “Guardi, mi sono perso, sto cercando questo luogo, mi può dire come arrivarci?” Questa ragazza che lavorava presso il negozio mi guardò e disse:
“Io so chi sei.” “Io gli risposi: “Lo sai?” Lei asserì. A quel punto replicai: “Chi sono io? “Giuro su Dio, mi rispose:
“Muggsy Bogues.”
Pensavo che avrei pianto. Replicai: “Che Dio ti benedica. No, io non sono Muggsy. Sono alto all’incirca come Muggsy.” Poi le dissi chi ero.
Lei mi disse: “Oh mio Dio, lo sapevo. A che cosa sto pensando?” Ma fu divertente. Lo dissi in pubblico, ridevano fino alle lacrime”.
KAUFMAN: “Harter era un personaggio. Dick ed io eravamo vicini. Io ero il PR, lui era il capo allenatore. Lui dipendeva da me per questo e quello. Lui mi diceva:
“I ragazzi che lavoravano per me nelle pubbliche relazioni in passato, la domenica mattina mi fornivano sempre il New York Times. “Avevo ventidue anni, non conoscevo molti aspetti. Così andai a prendere il giornale in un’edicola nazionale, finimmo per chiacchierare piacevolmente”.
EARL CURETON, un centro veterano: (Harter) “Tenne un discorso a fine primo tempo negli spogliatoi.
“Cazziò” ogni giocatore dicendogli che poteva pretendere di più da se stesso.
Ridemmo per alcune delle cose che aveva detto.
Ricordo Dick Harter che andava dicendo che Muggsy era troppo piccolo per giocare nella NBA. Ha detto che Dell Curry era stato con tre squadre diverse in tre anni. Su di me non disse molto.
Lui mi conosceva dai tempi di Detroit. Ha detto qualcosa a proposito del fatto che non avessi giocato con il cuore quella notte. Era piuttosto arrabbiato per qualche gara che avevamo perso.
Ha detto a Dave Hoppen, per renderlo un duro, che qualcuno aveva bisogno d’inseguirlo in giro per l’edificio con una mazza da baseball. Andò da Kempton, lo guardò e gli disse: “Ah, tu, uff…”, e poi andò dalla persona successiva, quel discorso è divenuto un argomento di conversazione del quale parliamo spesso”.
KEMPTON: “Penso che Dick avesse un po’ paura di me. Credo pensasse che potessi essere uno dei ragazzi che avrebbe potuto anche alzarsi e dargli un pugno”.
TRIPUCKA: “Ho giocato per Dick a Detroit. Ero un grande fan di Dick Harter, mi manca molto. Era mite come allenatore professionista rispetto a quello che era come allenatore al college. Questo era il suo stile. Sapeva che doveva cambiare un po’, ma a volte il vecchio Dick uscì. A volte è stato molto divertente, altre è stato spaventoso”.
RAMBIS: “Eravamo tutti seduti in cerchio. Si scagliò contro di me. Stava parlando di difesa. Si era piegato quasi parallelo al pavimento, ma non era in grado di spingermi abbastanza forte da farmi perdere l’equilibrio. Allora mi colpì e cadde dritto sul pavimento. Mi piacque, non avevo mai avuto un allenatore che facesse quella cosa prima. Stava cercando di farci essere più duri e determinati come squadra, il che era assolutamente necessario in quel campionato”.
BOGUES: “Una volta disse: “Devi diventare più tosto. Devi giocare più duro.” Tirò una forte spallata al muro, dicendo alla squadra quanto duri avrebbero dovuto essere. Poi finì direttamente nella stanza del massaggiatore con il ghiaccio sulla spalla”.
• Dick Harter è deceduto nel 2012.
CAPITOLO 3
LA FINE DI UN “MAGICA” (20-62) STAGIONE
PARTE 1
(Charlotte alla parata)
TRIPUCKA: “Dopo il termine del campionato, vollero che andassimo in parata per onorarci, come se avessimo vinto il campionato. Stiamo andando ma in genere… “Non ti fanno una parata quando vinci 20 partite in 82 gare.”
Ed eccoci, noi siamo in auto all’aperto, Corvette, Mustang, tutti questi convertibili.
Mio Dio, ci sono migliaia, migliaia e migliaia di persone lungo le strade.
Siamo come delle rock star. Siamo campioni NBA, no… abbiamo vinto venti partite quell’anno.
E ‘stato molto divertente. Davvero dovevate essere lì.
Se dici ciò, nessuno probabilmente ti crederà, ma qualcuno deve avere un video di questa parata, ed io non sono l’unico a raccontare questa storia”.
KEMPTON: “A volte sei quasi imbarazzato da questa parata, come la prima volta in cui siamo tornati a giocare in casa dopo aver perso disastrosamente contro Cleveland. Avevo capito quanto sia speciale per quelle persone avere una loro squadra. Hanno fatto di tutto per renderci speciali”.
RAMBIS: “Ho capito. Fu un po’ imbarazzante per me. Ho capito il progetto di pubbliche relazioni della società, facendo capire ai fan che li apprezzavamo, non è facile venire a vedere una squadra che gara dopo gara veniva continuamente sconfitta. Ho capito perché l’organizzazione avrebbe voluto sviluppare quel rapporto con i tifosi. Era la cosa giusta da fare, ma c’era ancora una parte di me che era imbarazzata per questo”.
REID: “Quando si tenne quella parata e salimmo su quel palco, non vi era alcuna menzione del nostro record. E ‘stato, “Ehi, ti ringrazio per aver portato del divertimento, l’eccitazione al Colosseo e per la nostra famiglia quest’anno”.
PARTE 2
IL PRIMO BAMBINO HORNET
TRIPUCKA: “Ho bei ricordi. L’anno non poteva concludersi meglio. C’è stata la nascita del mio primo genito dopo la stagione, dopo la sfilata. Diventò famoso perché era il primo bambino Hornet. Era una notizia importante. Noi stavamo per avere il bambino a Charlotte.
Diventò una notizia: un bambino Hornet stava per nascere. Nacque il 3 maggio 1989. Sono dovuto andare in ospedale sotto copertura. Mi hanno messo sotto falso nome (Kelly Brentwood).
Loro non volevano che la gente all’ospedale sapesse che eravamo lì”.
SABATES: “Io c’ero. Eravamo amici intimi. Egli disse:
“Sei mai stato in una sala parto?”
“Sì.” Risposi. Lui disse: “Penso che avrò paura.”
Aveva una di quelle grandi vecchie videocamere”.
TRIPUCKA: “Organizzarono una grande conferenza stampa dopo che lei ebbe il bambino, la notizia si era diffusa. Erano tutti in questa sala conferenze. Ogni network tv/radio a Charlotte era lì”.
PARTE 3
“LEGITTIMAZIONE DI CHARLOTTE”
DAUGHERTY: “Mi ricordo di aver detto a me stesso: “Wow, questa sarà una grande storia per questi ragazzi se mai diventassero competitivi e i tifosi non perderanno interesse a causa delle difficoltà. Questo sarebbe un posto incredibile per giocarvi.” –
I tifosi qui non sono secondi a nessuno. Erano i migliori del campionato a mio parere.
Non mi ricordo un sacco di partite perché ho giocato troppi anni nella NBA. Ma questa prima partita è rimasta davvero vivida nella mia memoria. Stavo davvero tifando dal primo giorno per questa franchigia perché facesse bene. Ogni volta che siamo venuti a giocare, l’Hive era scioccante. Ho pensato che fosse il posto migliore per giocare a basket”.
MUHLEMAN: “Shinn è un piccolo ragazzo di statura. Lui e Muggsy Bogues vedevano le cose occhi negli occhi. Questo era parte del fascino della storia, ho pensato. Un piccolo ragazzo a tutti gli effetti. Sconosciuto e piccolo mercato rispetto a New York o Chicago. E piccolo come statura, tirando fuori la storia di Davide e Golia. E ‘stato divertente, è stato davvero fantastico vederlo accadere. La gente andò in visibilio appena ottenne la squadra”.
KAUFMAN: “Sai quando abbandoni un concerto e a volte e hai un ronzio nelle orecchie? Ecco come ti sentivi quando lasciavi lo Charlotte Coliseum. Ventiquattromila persone dall’inizio alla fine che urlavano a squarciagola. Abbiamo avuto grandi spettacoli alle partite di allora, e abbiamo incitato i tifosi”.
CURETON: “Negozi di alimentari, ristoranti, in ogni luogo andassimo, si presero cura di noi. Era roba di prima classe, ovunque andassimo in città”.
HOPPEN: “Charlotte era ancora una città abbastanza piccola. Non era una grande metropoli. Non c’erano altre squadre professionistiche. Eravamo “la cosa” più grande in città”.
TRIPUCKA: “E ‘stata la cosa da fare a Charlotte. Se tu avessi potuto scegliere tra andare al cinema, oppure a teatro, all’opera, alla sinfonia, a qualsiasi cosa, avresti scelto di andare a vedere gli Hornets. Era diventato un evento. La gente la prendeva come una serata fuori. Era così ogni notte. E’ stato sicuramente piacevole per i giocatori, questo è sicuro”.
KEMPTON: “Il modo in cui Charlotte è cresciuta esponenzialmente è incredibile.
Divenne un polo bancario, ma all’epoca era ancora una piccola città del sud-est, che doveva ancora crescere, tuttavia si poteva intravedere che stava “progredendo”. Ogni volta che torno, ci sono ancora persone che mi vengono incontro e che mi salutano.
Questo ha legittimato Charlotte. Come a dire: “Siamo qui, guardate noi qui nel sud-est dell’America.” Questo ha portato i Panthers (squadra americana della NFL) a venire qui.
Avrebbero mai portato i Panthers a Charlotte se gli Hornets non avessero funzionato? Chi lo sa.
Si trattava di un trampolino di lancio.
Fu un enorme indotto economico per la città, crebbero imprese, opportunità, ecc… non era solo qualcosa di divertente, ma anche economicamente proficuo e importante per le entrate della città, dello Stato e per l’orgoglio di Charlotte, North Carolina”.
HENDRICK: “Tutto è stato perfetto. La tempistica, la città aveva bisogno di qualcosa di simile. Abbiamo avuto un grande gruppo di ragazzi. E ‘stata una dimostrazione d’affetto.
Niente di più significava tanto per le persone. Appena terminato il Super Bowl ci si chiede: “Qual è il prossimo?” Niente del Super Bowl ha il contenuto che aveva negli anni ’80. Il mondo cambia così velocemente, la notizia del giorno della quale tutti parlano oggi, domani è già sorpassata e tre giorni dopo nessuno se la ricorderà ancora. La nostra capacità d’attenzione, il nostro innamoramento per un evento è proprio così veloce.
Non sto parlando di Charlotte. Sto parlando in tutto il paese. Ognuno è così…
Charlotte era una città abbastanza sconosciuta. Oggi? Non è sconosciuta, ma è stato prima dei centri bancari, era prima dell’arrivo della NFL, era prima di tutto questo. E ‘stata la prima occasione per aprire la nostra città, per far vedere al resto del mondo e agli Stati Uniti la città regina.
Questa è Charlotte, North Carolina, ed è abbastanza grande da avere una squadra NBA.
E ‘stato solo un momento diverso. Le persone non sono sempre di fretta…
Mi mancano quei tempi. Mi manca il divertimento sano”.
RAMBIS: “Ci è piaciuto molto lì. E ‘stato un grande cambiamento per me dai ritmi di Los Angeles, la gente aveva ritmi più lenti, era più unita, tipica di una piccola comunità. Questo è stato molto piacevole provenendo da Los Angeles.
Le persone erano veramente gradevoli in generale, non credo che avesse qualcosa a che fare solo con noi che giocavamo per gli Hornets.
Era la mia impressione al momento, che noi potessimo essere una parte di ciò che stava quasi per accadere naturalmente in città. Un sacco di compagnie ottenevano agevolazioni fiscali per trasferirsi a Charlotte. Avevano un sacco di terra, c’erano costruzioni in corso, case, campi da golf.
La città ha iniziato ad avere dei ristoranti di fascia più alta. Abbiamo sentito parlare di tutte queste aziende che volevano venire a Charlotte. C’erano sviluppo e crescita in città. Quando torno lì adesso, non riconosco nemmeno il posto”.
SHINN: “E’ stato il momento più gratificante della mia vita. E ‘stato assolutamente mozzafiato”.
BOGUES: “Ogni sera avevamo 24.000 spettatori rumorosi, a prescindere dalla vittoria o dalla sconfitta. La gente semplicemente voleva venire a vedere quella partita, entrare nel palazzo, vivere l’evento nell’arena. Era piuttosto dura riuscire a entrare. E ‘stato un momento speciale.
Eri riconosciuto in tutto il mondo. Eri come una rock star di Hollywood, anche se eri a Charlotte. E’ stata un’esperienza meravigliosa per tutti. I tifosi volevano mostrare il loro apprezzamento. Noi stavamo cercando di conoscere la città, e la Queen City (il soprannome di Charlotte in onore alla Regina Charlotte Sophia di Mecklenburg-Strelitz, l’allora nuova consorte di Re Giorgio III d’Inghilterra) città si stava presentando a noi. Ci ha fatto sentire come se fossimo in paradiso”.
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Trasferimento a New Orleans (LA).
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“To The Moon And Back”, il ritorno a Charlotte
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Sopra, la presentazione della squadra degli Hornets per la stagione 2015/16.
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Per la stagione 2020/21 ci è stata chiesto come gruppo/comunità Hornets presente su FB, la partecipazione con degli articoli per la testata giornalistica on-line “the Shot”.
Nel link trovertete gli articoli pubblicati che riguardano la prima parte della stagione.
Sono tifoso Hornets dal 1995….passione iniziata con le mitiche Upper Deck scambiate con i miei compagni di classe alle elementari….in un contesto di classe dominato da soli tifosi Bulls e un tifoso Magic non per questo mi sentivo in situazione di netta minoranza:) momento indimenticabile per me il giorno dopo l’All Star Game che vide il nostro Glen Rice portarsi a casa il titolo di MVP dopo aver grigliato come un pazzo dalla linea dei 3 punti come solo lui sapeva fare. Entrai in classe e i miei compagni tifosi Bulls cominciarono a chiedermi subito la card di Rice proponendomi mille mila tipi di scambio….ovviamente quella card l’ho ancora adesso conservata nel suo bel raccoglitore:):)
Io facevo le altre, le Fleer, le ho ancora tutte. Ho anche qualcosina delle Upper-deck senza album. Anni in cui da 3 Charlotte era letale, Rice (mitico), Curry (stramitico), Delk e tanti altri discreti tiratori da fuori…