Honky/Hornets

“In tempo d’estate con l’orologio della NBA apparentemente fermo, sale il tempo delle nostalgie, anche quella semplice da campetto, con il clima che si raffredda, tornerà a giocare chi è inserito nelle varie società, ma se, appunto, ormai siamo al tramonto della bella stagione, anche la NBA, con i suoi campi ci indica la riapertura delle “ostilità” sportive nella lega cestistica più famosa del mondo.

Oggi voglio fare un tuffo nel tempo che chiamiamo “passato” e pubblicare un pezzo particolare lasciando spazio ad Alì Nasrì, il quale fu un giocatore juniores, aggregato alla prima squadra della Fabriano capace di spiccare il volo nella massima serie a cavallo tra i ’70 e gli ‘80.

Ripercorreremo anche così un po’ la storia degli anni d’oro della città della carta.

Non amo definirmi storyteller, definizione anglofona che in italiano suonerebbe come “raccontatore di storie” o simili, termini che non amo molto ma, in realtà in questo pezzo ,che non tratta solo di Hornets, mi piace evidenziare aspetti che escono dal basket giocato, senza dover far sensazionalismo, apprezzando sempre molto i contributi arricchenti di chi ha giocato a basket e può portare un pensiero personale (spesso differente dal mio) sul mondo NBA, ma non solo.”

 

Intervista

 

1D) Ho già introdotto qualcosa sulla sua persona, ma mi piacerebbe conoscere l’uomo e il giocatore.

Quando s’indossa una canotta da basket sale il sacro spirito sportivo/competitivo, un fuoco immanente e trascendente al contempo.

Quella voglia di dimostrare in primis di poter battere se stessi prima degli avversari, di migliorarsi per me, anche se a oggi la mia filosofia al di fuori dello sport è quasi opposta in un mondo ultra competitivo come canta Caparezza: “Sono tutti in gara e rallento, fino a stare fuori dal tempo”. Comunque… partiamo dalla persona.

Nome “curioso”, esotico, da dove deriva?

Ci racconta brevemente qualcosa per conoscerla un po’ di più?

 

 

1R) “Sì, il mio nome ha origini siriane perché mio padre era di lì.

Io nacqui a Firenze nel 1965 da mamma italo-francese e da padre siriano.

A parte una breve parentesi di vita vissuta in Siria fino allo scoppio della Guerra dei Sei Giorni (5-10 giugno 1967), ho sempre vissuto qui in Italia a Castelfiorentino, in provincia di Firenze, ed è qui che ho iniziato a scoprire il basket a 10 anni.

Iniziai a giocare nelle squadre giovanili della squadra locale fino poi ad arrivare ad avere una breve esperienza a Fabriano nelle file degli juniores della Honky Wear per poi ritornare a giocare nel Castelfiorentino.

Giocai in Serie B a parte un paio di anni, poi a Empoli in serie C, oltre all’esperienza pesarese nella Banca Popolare in serie B2”.

 

L’intervistato in azione a Castelfiorentino contro l’armata della CSKA Mosca.

 

Un articolo di Superbasket del fine settembre 1983 sul torneo di Castelfiorentino.

 

 

2D) Il campionato italiano di quegli anni probabilmente era il secondo migliore al mondo dopo la NBA. Denominato anche “Spaghetti Circuit”, arrivavano giocatori statunitensi, spesso profumatamente pagati (strumento d’accaparramento da parte dei team delle star americane).

La Honky Fabriano qualche anno più tardi addirittura sfoggiò una divisa a stelle e strisce…

Cosa ricorda del suo vissuto in prima squadra?

Che atmosfera si respirava nei palazzetti e che cosa le manca di quei tempi?

 

Una formazione della Honky Fabriano 1979/80 in divista a stelle e strisce con fondo blu.

 

2R) “A quei tempi era una cosa straordinaria vedere gli americani (due i tesserabili) per ogni squadra.

I campionati erano suddivisi in due gironi; Serie A1 e Serie A2 a 14 squadre.

Gli italiani erano molto più valorizzati rispetto a oggi effettivamente…

Quel tipo di basket, a differenza di questo, aveva proprio la spettacolarità di questi stranieri venuti da oltreoceano, i quali portavano qualcosa di diverso, qualcosa che oggi siamo più abituati osservare; movimenti tecnicamente molto più frequenti perché nelle squadre c’è molta più evoluzione tecnica.

All’epoca, l’inferiore tecnicismo conferiva agli americani che venivano a giocare qui, un’aura di spettacolarità.

Cresceva l’interesse poiché loro stessi portavano delle innovazioni nel gioco e nei movimenti.

Era bello per noi giovani prendere spunto, imparare dai movimenti di questi fuoriclasse che avevano un modo di lavorare diverso.

Percepivano alti stipendi, ma li meritavano perché si allenavano molto sul campo e anche fuori dal campo.

Gli stranieri che venivano a giocare in Italia non avevano ancora procuratori che li seguissero o preparatori personali, erano manager di se stessi, fissavano appuntamenti e firmavano contratti, si allenavano da soli…

In quegli anni ebbi la fortuna di passare un momento fantastico perché io ero già un tifoso di Fabriano, neopromossa dalla serie B alla serie A2 e mi ritrovai a fare un provino proprio per loro in quell’estate, così conobbi Alberto Bucci e i dirigenti dell’epoca, persone veramente gentili, magnifiche, le quali mi misero a mio agio per giocare nella formazione juniores.

Immerso dentro a quell’ambiente, con giocatori che avevo visto solamente sulle copertine di Superbasket  o in qualche fotografia sui quotidiani, ricordo che quell’anno la Longhi Fabriano (militava nel campionato di A2) si salvò con Alberto Bucci come coach.

 

Formazione e compendio della Honky da un superbasket (luglio–agosto) del 1980.

 

Risultato straordinario poiché la squadra dovette giocare tutto il campionato con un solo statunitense (l’altro si era infortunato a una spalla in maniera molto seria), tuttavia a tre giornate dalla fine la salvezza era già stata ottenuta.

Di questo periodo fantastico ricordo i nome di tutti quei giocatori, ad esempio; Roberto Paleari, Achille Gelsomini, Maurizio Lasi, Servadio, Leonardo Sonaglia e v’erano anche Liner Green e Day Cheese-Man, il forte americano, lo sfortunato estromesso protagonista da me menzionato prima per il problema alla spalla.

 

Paleari al tiro.

 

Era un ambiente molto semplice ma molto passionale.

Mi dispiace che oggi Fabriano non esista più nella nel panorama del  grande basket (società sciolta nel 2008 e titolo sportivo venduto a Roseto), ma purtroppo molte società sono fallite a causa della recessione e dei grandi costi.

Di quei tempi mi manca l’atmosfera che si respirava.

In paese la gente non vedeva l’ora di andare al Palasport per vedere non solo le partite ma anche gli allenamenti.

Quando ci allenavamo erano presenti sempre tantissime persone e questo mi era di stimolo per fare meglio.

La città respirava basket, spero che in futuro Fabriano possa essere rifondata poiché è insita nel cuore della città la passione per questo bello sport.”

 

Fabriano contro Rimini in un pezzo di Superbasket uscito sul finire dell’ottobre 1980.

 

Siamo nel marzo 1983. L’Honky si salva ancora. In casa Fabriano fa le sue fortune battendo spesso le grandi. Qui, per la prima volta riesce a vincere contro Pesaro.

 

 

3D) Pur pagati abbastanza bene, non ci possono essere paragoni con le cifre di oggi fuori da ogni ragionamento etico ma dettate dalla legge domanda/offerta del mercato.

Mi ha detto che oggi non segue più molto il basket, anche se qualche volta lo pratica.

Io sono convinto che nella vita delle persone vi siano delle tappe, ciò che era interessante ieri, non lo è più o è meno attraente oggi… per età, per priorità, a volte per noia…

A farla un po’ allontanare dal contesto cestistico cos’è stato?

Il basket più spettacolo/business odierno e meno concreto (passatemi il pensiero, nel senso di spirito) d’oggi ha inciso sulla sua scelta?

 

3R) “Sì, effettivamente oggi si parla di cifre da far girare la testa.

I contratti ai giocatori di basket talvolta sono milionari, spropositati.

Diciamo che il cambiamento della pallacanestro secondo me è iniziato dalla metà degli anni ’80.

Le cifre si sono impennate quando nel mondo della pallacanestro a stelle e strisce è comparso un certo signore, tale Michael Jordan…

Nel 1984 il basket ha preso una direzione completamente nuova.

Lui è stato veramente un giocatore che ha portato dell’innovazione tecnica elevando anche il livello economico, perché, quello che ha fatto lui, credo che ancora non l’abbia fatto nessuno, non togliendo assolutamente niente ai vari Kobe Bryant, LeBron James, Steph Curry, però questo signor Jordan  fu un portatore di novità, in fatto di sponsor ad esempio… forse anche per questo continua a essere sempre uno dei giocatori (diciamo ex attualmente) più popolari e più pagati.

Già qualche anno fa si parlava di 97 milioni d’Euro come cifre guadagnate tra sponsor e vari contratti che aveva firmato.

Quando smisi di giocare a pallacanestro ebbi un cambiamento della mia vita completo.

Avevo bisogno di stimoli nuovi dopo 20 anni vissuti a fare il giocatore e l’allenatore perché per me era un lavoro.

Avevo dei vuoti che non riuscivo più a riempire con lo sport.

Stavo cercando qualcosa di diverso.

Tutto poi mi si aprì in maniera incredibile quando incominciai a leggere la Bibbia e attraverso di essa incominciai a capire quale fosse il problema.

Il mio problema, almeno, per me… consisteva nel fatto  che fossi separato da Dio.

Non potevo più proseguire per la mia strada, non avevo più soddisfazioni.

Tutto quello che avevo combinato fino a quel punto non mi soddisfaceva più.

Mi resi conto che ero separato da Dio e che il mio peccato mi impediva d’esser felice.

Avevo bisogno d’avere una relazione personale con lui.

Quando questo “peccato” è così radicato dentro, ti senti sempre pieno di brutti pensieri e di problemi.

La Bibbia dice che tutti hanno peccano e sono privi della gloria di Dio, come dice che il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio sarà la vita eterna.

Scorrendo sempre più la Bibbia, nella lettura trovavo sempre più la soluzione.

Si chiamava Gesù Cristo, il cui sacrificio colma il divario tra l’umano e il Dio, in modo d’accostarci al Signore.

Così, spinto dall’estremo gesto del figlio di Dio, abbandonai la mia vecchia vita vissuta nel peccato e incominciai a fidarmi di lui affidandogli la mia vita nuova questa vita da cristiano trovando gioia, pace, motivazioni per un nuovo entusiasmo, una nuova partenza (non è qualcosa di automatico) grazie alla Bibbia che è mia regola di fede e di condotta perché se uno è in Cristo egli è una nuova creatura e le cose vecchie che sono passate, ora sono diventate nuove”.

 

L’ascesa di Beal verso i cieli. Stranamente, due temi così diversi hanno in comune l’ascesa e la fiducia (fiducia in un tiro, in un compagno), la quale in campo religioso diventa fede, parola oggi usata anche per definire l’appartenenza viscerale a una squadra.

 

 

4D) Immagino sicuramente ricordi la nascita degli Charlotte Hornets a fine anni ’80… L’espansione della NBA nel 1988 vide entrare Charlotte e Miami, mentre l’anno seguente Minnesota e Orlando fecero la loro comparsa sul pianeta NBA.

In particolare Charlotte e Minnesota, più che per i risultati (essendo team da expansion draft ovviamente abbastanza scadenti) erano conosciute per le affluenze dei palazzetti sempre esauriti. Gli Hornets poi avevano anche “Il curioso caso di Muggsy Bogues” per parafrasare quasi il titolo del film con finale “Benjamin Button”, giocatore più piccolo di sempre nella NBA con i suoi quasi 160 cm.

E poi c’erano Tripucka, Robert Reid, Rex Chapman, Dell Curry (papà di Steph Curry), Michael Holton e tanti altri che passarono di lì…

Cosa si ricorda di Charlotte in quegli anni, dei giocatori, cosa le piaceva, cosa la interessava e cosa non le piaceva della squadra del North Carolina?

 

4R) “Non ricordo benissimo, anche se quando nacque questa franchigia mi ricordo vi furono delle novità per il basket NBA, perché oltre ai Charlotte Hornets nacquero anche altre franchigie come Miami e altre delle quali non ricordo il nome (integra l’intervistatore aggiungendo Orlando e Minnesota l’anno dopo, Vancouver e Toronto nel 1995…), ma diciamo che la NBA si estese a squadre con il punto interrogativo.

Squadre un po’ misteriose, però mi ricordo che quel periodo in questa squadra del North Carolina giocava un gigante di appena un metro e sessanta che si chiamava Bogues.

Questo è stato sicuramente il giocatore più basso della Lega NBA, tra i più famosi al mondo.

Un giocatore veramente incredibile, saltava, sfornava assist e realizzava anche punti.

Diceva d’andare a dormire con la palla nel cuscino e penso che questo sia stata la cosa che gli ha permesso d’imparare così bene a palleggiare in velocità dribblando gli avversari con un grande feeling con la palla.

Poi c’era un certo Tripucka, una guardia realizzatrice capace di segnare anche da fuori che entrò anche nelle classifiche dei miglior marcatori NBA.

Mi ricordo che nel 1992 presero anche un certo Larry Johnson, rookie dell’anno, ma, personalmente l’anno dopo smisi di giocare non seguendo più assiduamente il basket, tuttavia ricordo anche Alonzo Mourning, il quale era stato uno dei giocatori emergenti in quel periodo tra i più importanti per questa franchigia.

Rimanendo in North Carolina poi, non è un caso che gli Charlotte Hornets oggi siano gestiti da un proprietario molto importante come Michael Jordan, il quale oltretutto a North Carolina fece vincere l’anello universitario prima di sbarcare nel mondo dei professionisti.

Io ero molto più tifoso dei Los Angeles Lakers e le squadre come Charlotte erano matricole. Squadre più deboli a livello dei singoli e di gioco, quindi poco interessanti da seguire come compagini.

Non condivisi molto l’allargamento della NBA con società che sicuramente avrebbero  faticato a organizzare team di livello per competere con i grandi squadroni che c’erano all’epoca come i Los Angeles Lakers, i Boston Celtics e i Chicago Bulls di MJ, i quali sarebbero diventati di lì a poco i più forti nella storia vincendo sei titoli quasi consecutivamente (in mezzo  i due titoli dei Rockets favoriti dal ritiro di MJ)”…

 

 

Non state sognando. E’ proprio Michael Jordan in Italia con la “maglia” della Stefanel Trieste e non è un fotomontaggio. A breve la foto verrà inserita anche nella sezione MJ Corner.

 

 

5D) Entro un po’ nello pseudo- filosofico unendolo allo sportivo… in altre leghe professionistiche come la NFL non è impossibile essere competitivi e magari giocarsi una finale.

Nella NBA gli equilibri sono destinati solitamente a perdurare per anni a causa di regole economiche che consentono scappatoie, mercati che risultano essere più interessanti di altri e attraggono giocatori che ormai puntano o al denaro o a vincere un titolo.

Spesso assistiamo al modello proposto da Miami con tre star (Bosh, James e Wade) che oggi a Oakland sta funzionando (Curry, Thompson e Durant, se poi volessimo aggiungere anche Dr. Green faremmo poker) creando sfide da feud, rivalità che in secundis portano una disparità sui valori, sulla forza di questi team rispetto alle altre squadre.

Non a caso sono tre anni che alle Finals arrivano i Cavaliers e i Warriors e anche quest’anno se Boston, Houston, San Antonio, qualche outsider permettendo, saranno le favorite…

Dal ritorno da figliol prodigo di James in Ohio si è creata la polarità perfetta “Est/Ovest”, ma a uno sguardo di un tifoso che non sia pro Warriors o Cavaliers a lungo andare potrebbe risultare una situazione stancante.

Sostanzialmente viviamo in un eterno presente con team che battagliano 82 partite all’anno per vana gloria (anche se per me le partite degli Hornets sono tutte interessanti).

E’ una situazione che vive sulle stesse osannate ed uniche regole mercatistiche (condite dalle eccezioni) che oggi non danno speranza a diversi giovani o magari tendono a vessarli, poiché anche i più determinati, in un ambiente ostile, troveranno non poche difficoltà a trovare la loro via.

Mi rendo conto che la duplice domanda è lunga e non di facile risposta, ma… cosa farebbe per cambiare un po’ la situazione NBA, che regole modificherebbe?

E che cosa potrebbe fare, cosa dovrebbe cambiare questa società per dare una mano ai giovani che a volte, laurea o meno, sono costretti alla disoccupazione, al lavoro sottopagato o a essere sempre precari non riuscendo a garantirsi un futuro stabile?

E’ un discorso di regole, presuntamente paritarie ma in realtà che creano parecchio squilibrio, aldilà delle capacità professionali di dirigenti e singoli individui…

 

 

5R) “Ogni epoca ha avuto la squadra che ha sempre devastato, dominato le stagioni, a partire dagli anni ‘80 per non andare ancora più indietro in periodi che non ricordo.

Posso dire che i Boston Celtics e i Los Angeles Lakers in quei periodi erano le squadre più forti e si davano gran battaglia.

Gradualmente poi ci sono stati i Chicago Bulls nei ’90, così come nei 2000 arrivò San Antonio, abile a vincere 5 titoli…

Oggi si dice che Golden State sia la squadra più forte di tutta la storia della NBA, ma su questo non sono d’accordo.

Stanno vivendo la loro epoca attuale come franchigia più forte, ma in passato ce ne sono state anche delle altre.

La storia è fatta di questi filoni.

Per me i giovani sono il fulcro del movimento dello sport, sono il nostro futuro in ogni ambiente della società; nell’economia come nella politica, quindi se riusciamo a valorizzare i giovani e a farli emergere preparati possiamo avere delle buone prospettive per il futuro per le nostre attività, così anche nello sport.

Purtroppo oggi i nostri giovani, anche nelle nostre società sportive, vengono sempre di più messi da parte.

C’è un problema di scarso impegno nel volerli migliorare perché esiste la mentalità d’andare a prendere giocatori già fatti e pronti per poter vincere subito, ma questo è un discorso che dovremmo cercare di cambiare, soprattutto nelle società più piccole dove magari mancano soldi, come d’altra parte sta succedendo anche nelle nostre province, nelle quali tante società di basket sono costrette a ridimensionarsi non potendo iscriversi anche a campionati importanti preferendo scendere di due categorie e ripartire magari dalla promozione paradossalmente a quel punto con i giovani perché la politica dei “young” ti permette d’investire a basso costo…

Cosa farei per cambiare la situazione delle NBA?

Che regole modificherei?

Beh, sono regole che modificherei anche nelle altre leghe a livello mondiale, compresa la nostra federazione di pallacanestro.

Soprattutto mettere delle restrizioni economiche, tutte le società dovrebbero poter investire in modo che non siano sempre le stesse a comandare il gioco.

Quindi, qui, maggior controllo dei bilanci e un limite, un tetto finanziario per gli investimenti”.

 

Lo sponsor di Fabriano negli anni ’80 prima di divenire “Alno Fabriano”…

 

Articolo (Superbasket n. 18) del maggio 1983 su Fabriano.

 

 

 

6D) Secondo lei gli Hornets targati Michael Jordan comprando un centro come Dwight Howard (gran fisico) hanno fatto la mossa giusta?

Da molti è definito crepuscolare, un giocatore al tramonto, ma a Charlotte mancava presenza fisica sotto canestro.

Potrebbero arrivare ai playoffs, migliorando le 36 vittorie della scorsa stagione?

 

6R) “Howard è un giocatore che ha un grande fisico.

Il Superman delle schiacciate all’All-Star Game.

Mi pare che qualche anno fa avesse deciso di ritirarsi dalle scene… poi ci ha ripensato grazie al pastore della sua chiesa che l’ha convinto a  proseguire.

Tutto dipenderà dalla voglia che ha dentro di sé, dalla motivazione che riuscirà a trovare.

In caso positivo potrà fare la differenza per una squadra come Charlotte”…

 

Howard con la sua nuova maglia.

 

Grazie per la cortesia ad Alì Nasrì.

Venti di guerra…

 

Il titolo non si riferisce al baluginare dello spettro atomico, del quale a mio parere sono corresponsabili tanto Kim Jong Un, quanto il neopresidente americano Trump ma all’avvicinarsi della nuova stagione NBA con gli appassionati fervono che fervono e i roster che salgono numericamente…

Lo scenario geopolitico però di questi tempi la fa da padrone e se Kim Jong Un (uno che ha studiato in Svizzera, non un pazzo fuori dal mondo come molti credono) sta decisamente tirando troppo la corda (coperto in parte da Cina e qualcosa dalla Russia) è anche perché i paesi “occidentali” pongono sanzioni (vecchia storia che si ripete… Società delle Nazioni fallimentare e inizio del secondo conflitto mondiale) invece di mettere al centro il vero dialogo.

E’ anche vero che, mi spiegava un’amica magiara, molti paesi, ad esempio l’Ungheria, commerciano con la Corea del Nord. In Ungheria vi è stato uno scandalo perché nel paese del Turul si comprano antibiotici, medicinali in generale “sottobanco” (all’oscuro dell’opinione pubblica) pur non avendone bisogno giacché il fabbisogno sarebbe ampiamente soddisfatto…

Comunque sia, i protagonisti sanno che di mezzo vi sarebbe una pericolosissima guerra nucleare, ma forse qualche pazza think tank americana che si occupi di progettare scenari futuri di questo tipo avrà già pensato a queste eventualità in una sorta di Blade Runner post-atomico con androidi a rimpiazzare gli uomini… ovviamente la mia ultima frase è una provocazione, in un mondo dove anche il valore sportivo troppo spesso è distorto e piegatosi al denaro e al successo, mentre dovrebbe trasmettere soprattutto altro. Ne tornerò a parlare in stagione citando un libro nel quale vi è un contributo di Dino Meneghin, intitolato “Odiavo Larry Bird” (in realtà il libro non verte su questo né va preso letteralmente) nel quale si riportano al centro i veri valori sportivi.

Tornando all’argomento principale, un altro uomo dalle fattezze orientali, più tranquillizzante e slanciato (Rich Cho), ieri ha annunciato l’arrivo di altri due nuovi giocatori che si uniranno ai 18 già presenti nel roster per partecipare al training camp.

Si arriva dunque a toccare quota 20, prima che inevitabilmente una manciata di essi sia tagliata fuori dal roster finale.

Vediamo chi sono dunque i due prescelti dalla società:

 

Luke Petrasek è un’ala grande nata a Northport (NY) il 17 agosto 1995.

 

 

Il ventiduenne che è alto 208 cm per 98 kg, nella carriera universitaria ha giocato per Columbia State quattro anni (dalla stagione 2013/14) dove ha ottenuto medie di 15,1 e 5,7 rimbalzi nel suo anno da senior. Il 14 gennaio di quest’anno ha segna il suo massimo in carriera in una partita realizzando 31 punti contro Cornell. Con i 408 punti messi a segno nell’annata, in quattro anni ha totalizzato 1.040 punti in carriera per essere il ventiduesimo miglior realizzatore All-Time per Columbia, nonché il quinto shot-blocker con 95 stoppate in totale.

https://twitter.com/Luke_Petrasek

 

Terry Henderson, invece, è una guardia tiratrice proveniente da North Carolina State.

 

 

Nato il 21 marzo 1994 a Raleigh, è alto 196 cm e pesa ben 104 kg. Non nasce tuttavia a Raleigh la sua carriera poiché nei primi due anni universitari gioca per West Virginia passando dagli 8,0 punti di media della prima stagione agli 11,7 della seconda. A causa di un infortunio salta quasi interamente la prima stagione con NCS (1 partita soltanto), per riaffacciarsi la scorsa stagione e incrementare ulteriormente la sua media punti. In 32 partite la media sale, infatti, a 13,8 (28 punti di massimo lo scorso anno il 20 novembre con 7/11 da tre punti @ Cre) con Henderson secondo miglior marcatore del team… Con il 52,3% dal campo conclude il suo anno da senior aumentando anche la media assist a 1,6.

Per quanto riguarda invece l’analisi del calendario, infortuni permettendo, guardando un po’ le avversarie verrebbe da dire che gli Hornets, ancora una volta, come negli ultimi due anni, sono in lizza per disputare i playoffs, infortuni permettendo… Con Howard in squadra forse potremo riuscire a vedere un gioco più simile a quello di due anni fa, più piacevole da vedere, aldilà dei migliori risultati avuti.

C’è da segnalare che i back to back, fattore che può sempre incidere sul lato “injury”, saranno 14 su 82 partite. Si parte prima, proprio per dare più riposo agli atleti.

Il primo back to back sarà comunque già a fine ottobre. Il 30, dopo aver giocato il giorno precedente contro Orlando in casa, andremo a Memphis al Fedexforum a cercare di strappare una vittoria per partire bene in stagione.

L’inizio stagione dirà qualcosa di più sulla forza del team. Partiremo, infatti, contro Detroit e avremo dopo pochi giorni una sfida contro i Bucks. I Pistons li ritengo quasi al nostro livello, mentre i Bucks sono in ascesa e li ritengo pari o poco superiori con il duo d’ali a far da traino ai Cervi. Avremo anche Houston in casa e San Antonio in trasferta, rispettivamente il 27 ottobre e il 3 novembre, due avversarie storicamente scomode e sempre potenti negli ultimi anni che ci faranno da test per verificare la forza della squadra.

Da inizio stagione a fine anno, parlando di regular season, avremo da disputare 36 partite, 20 saranno le casalinghe e 16 quelle in trasferta, sebbene la partita programmata per il fine anno a Los Angeles contro i Clippers (in Italia chi vorrà, avrà già festeggiato l’arrivo del nuovo anno), in realtà sarà la seconda di quattro trasferte sulla costa Ovest che riequilibreranno un calendario comunque sia, non troppo sbilanciato.

A ottobre giocheremo 7 partite, a partire dal 18, quattro saranno le casalinghe e tre quelle in trasferta, a novembre saranno 6 le casalinghe e 7 le trasferte per un totale di 13 game, inclusi due back to back casalinghi contro avversarie non delle più semplici (Clippers e Spurs). Il 10 novembre giocheremo fuori casa contro i Celtics, mentre 5 giorni più tardi avremo un ulteriore test casalingo contro i Cleveland Cavaliers del nuovo duo Thomas/James. Avversarie di spessore, probabilmente il meglio oggi a Est per confrontarsi e vedere se questa squadra ha un’anima e avrà superato le paure e le mancanze di forze fisiche e mentali di molti finali, parlando della scorsa stagione.

A dicembre partiremo il primo giocando a Miami un’interessante sfida con gli indecifrabili Heat trascinati da Dragic, fresco campione europeo con la Slovenia. Nel mese dicembrino avremo 3 back to back in 16 partite, 10 delle quali le disputeremo tra le mura amiche, sperando di vincerne il più possibile e che il 23 i Calabroni, battendo i Cervi allo Spectrum Center, facciano un regalo di Natale ai propri tifosi, mentre a Oakland il 29 sarà più dura…

Il gennaio del nuovo anno ci vedrà impegnati altre 14 volte con 8 sfide casalinghe e 6 viaggi in trasferta. Da segnalare il derby contro i Pelicans il 24 da giocare in casa e la doppia sfida all’ex Belinelli e ai suoi Hawks il 26 (in casa) e il 31 (in trasferta).

5-7 sarà il conto del mese dell’All-Star Game e del carnevale mentre marzo, mese che potrebbe risultare decisivo per la corsa ai playoffs sarà in salita con 6 gare casalinghe e 9 in trasferta. Affronteremo per ben tre volte Philadelphia (chiuderemo contro i Sixers il primo aprile, appena fuori dallo spazio-temporale di marzo), squadra in crescita, le cui potenzialità saranno al vaglio delle avversarie tra un mesetto, mentre giocheremo per ben due volte contro tutte e due le squadre newyorkesi (Brooklyn e New York). Il calendario di marzo non è quindi impossibile, considerando che delle 15 partite che dovremo affrontare, anche Phoenix in casa e Atlanta fuori, con il dovuto rispetto, non sono sulla carta, avversarie insormontabili, sempre che non stiano lottando per qualche obiettivo, inoltre avremo un solo back to back…

Aprile sarà inaugurato come già scritto contro i 76ers allo Spectrum Center, poi avremo sfide contro i Bulls e i Magic, due formazioni che, quest’anno sulla carta, dovrebbero essere tagliate fuori per i P.O. a quel punto della stagione… Chiuderemo l’8 e il 10 una doppia sfida contro i Pacers, squadra sempre tosta ma che si è privata di Paul George, uomo franchigia, un’assenza che Indy, nonostante qualche buon giocatore nel roster, potrebbe pagare a caro prezzo nell’immediato.

Per vedere il calendario completo della stagione di Charlotte, modificato con gli orari italiani basta andare sulla Home e cliccare sulla barra grigia 2017/18 Calendario.

Questo invece è il roster completo, preso dalla pagina ufficiale degli Hornets:

 

Il Quarto Statement

Non è una carenza grammaticale pensando al Quarto Stato, famoso e simbolico quadro disegnato a inizio 1900 da Giuseppe Pellizza da Volpedo (pittore morto suicida), in realtà ne esistono varie versioni create dall’artista (Ambasciatori della Fame, La Fiumana) che rimase impressionato da una manifestazione di protesta di operai decidendo di compiere anche battaglie sociali.

 

Il Quarto Stato.

 

In realtà qui siamo agli antipodi, non dico si tratti di lusso ma di certo la statement edition edition, ovvero la quarta divisa stagionale degli Hornets appena mostrata al pubblico, non ha consistenza e forma delle vesti dei “poveri abitatori” del famoso quadro, utilizzato tra l’altro nella scermata iniziale del film di Bernardo bertolucci “Novecento”..

Comunque… tornando a Charlotte… con tempistiche da goccia a goccia, la società sta svelando le uniformi per la prossima stagione…

Ormai manca solo la quinta e ultima tenuta da gioco che dovrebbe essere rivelata presto.

Il coming soon della quinta è stato anticipato intanto da questa divisa Statement Edition Edition:

 

Ricapitolando… abbiamo fin ora… la verde acqua da trasferta e la vintage classic che sarà a oggi, dichiaratamente indossata in tre occasioni; il 15 novembre contro i Cavaliers, il 23 dicembre nella notte dell’antivigilia di Natale contro i Bucks e infine il 13 gennaio chiuderemo, salvo cambiamenti in corsa, contro gli Oklahoma City Thunder (grazie a Paolo Motta per l’informazione), squadra che ha aggiunto Paul George (pare convinto dall’ex Durant) oltre al solito Westbrook. In più, ecco spuntare, sempre marchiata dal brand Jordan, la viola, in una tonalità stupenda, contornata da un altro colore affine a comporre il colletto.

Sfortunatamente la poca fantasia nel disegno l’ha resa pressoché identica alla precedente. Parere personale, anche questa sarebbe stata migliorabile, comunque sono gusti… Ieri sera comunque gli Charlotte Hornets hanno presentato le loro Purple Edition all’Innovation Summit di Culver City, in California. La Statement è stata presentata da Fred Whitfield (Hornets & CO):

“Siamo lieti di condividere con i nostri tifosi il quarto pezzo della nostra collezione Hornets Uniform per la stagione 2017-18”. “Non vediamo l’ora di vedere i nostri giocatori che indosseranno queste nuove uniformi in quanto rappresentano la nostra squadra, la nostra città e il nostro presidente sul campo”.

La scritta “Charlotte” ora appare ora sul petto della maglia e la scritta a toni sui pantaloncini dice “Hornets”, sostanzialmente invertendo il disegno precedente.

Come le altre uniformi, l’uniforme Edition Edition è stata realizzata su una versione raffinata del “telaio” Nike Aeroswift. Il nuovo materiale include le modifiche ai pantaloncini, alle spalle posteriori, alle cuciture e ai bordi, oltre a rimuovere il 30% d’umidità in più rispetto alle precedenti uniformi.

Per il resto, sulla barra grigia del menù centrale, ho aggiornato la sezione MJ corner con alcune foto scattate negli anni ’90 a Bormio all’attuale presidente Michael Jordan, del quale abbiamo un’ampia panoramica di foto e filmati realizzati sul parquet, ma meno in altre circostanze.

L’intento era di tornare a rendere pubbliche delle foto magari un po’ dimenticate, oltretutto realizzate in Italia, per chi fosse un fan di Jordan, accontentando così anche l’amico Andrea, gran fan di MJ. In più, sempre sulla stessa barra, ho inserito una nuova paginetta chiamata “Il simbolo”, la quale descrive brevemente la storia della scelta del simbolo facendo riferimento a cenni storici e contesti sportivi precedenti, descrivendo poi anche il calabrone stesso.

Infine, forse ve ne sarete già accorti, oltre al calendario dell’anno con gli orari italiani, è stato aggiornato il roster, infine aggiornati tutti gli head to head all-time contro le altre franchigie.

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ClassicHornets

Tutto cambia dicono, ma a volte ritornano…

Sarà l’eterno ripetersi e fluire?

Più prosaicamente qui direi che è stato semplicemente un effetto commerciare per cercare d’intercettare i desideri dei tifosi di ricordare tempi andati e di onorare con maglie storiche un passato non così poi remoto, giacché la prima versione delle divise di Charlotte durarono sino alla season 1996/97, dopo di che arrivarono le uniformi a doppia striscia utilizzate sino al 2002, anno in cui i Calabroni migrarono in Louisiana, dove per i primi anni scomparvero le strisce.

Come avrete capito, non stiamo parlando di filosofia/religione, di Nietzsche e dell’eterno ritorno o altro ancora, ma per questa volta diciamo semplicemente che è stata rivelata la terza divisa, quella dell’edizione classica che gli Hornets indosseranno la prossima stagione, ovvero questa…

 

Note sulla maglietta, dal sito creato appositamente per la divisa.

 

E’ tuttavia un déjà-vu

Si tratta sostanzialemente di una riproposizione della divisa che io chiamerei 1.1, ovvero la maglia storica utilizzata in trasferta color teal la definirebbero gli americani (qua si va a definirlo tra l’acqua, il turchese, il pertrolio, l’alzavola e chi più ne ha più ne metta come varianti di sfumature tra l’azzurro e il verde).

1.1 perché qui abbiamo già il logo con il calabrone Hugo e non il primo simbolo…

Le differenze, a parte il solito Jordan Brand, sono il logo NBA sul retro alto della canotta rispetto al posto precedente, ovvero sul pettorale alto sinistro, poi a vista mi pare che il colletto, sempre a V, sia tuttavia più arrotondato, con uno scollo meno profondo rispetto all’originale, le striscie sulla canotta (le famose pinstripes) siano più grandi mentre sui lati compaiono due sottilissime righine bianche.

La scritta Charlotte permane a ricordare l’identità geografica legata alla divisa.

 

Le 4 grandi strisce che compaiono sul fronte della canotta con il Carolina blue a spegnersi un po’ sul teal, quasi a scomparire confondendosi con il colore di fondo…

 

Il pantaloncino ha delle cuciture differenti, più moderne sulla parte della fascia elastica alta (dove compare il vecchio e stupendo simbolo) e aperure laterali sul genere dei pantaloncini presentati per le prime maglie con un disegno traforato in zona.

 

Il laterale basso del pantaloncino ha lo stesso antico disegno ma cambiano il taglio e ovviamente la traforatura, più “moderna”…

 

Complessivamente la giudico un omaggio alla vecchia tenuta storica, con qualche parte migliorata e altre pacchianamente peggiorate (vedi il retro alto della canotta, si vede che non le ha concepite l’autoe originale, ovvero Julian Alexander, professione stilista…) ma poiché “De gustibus non est disputandum”, ovvero i gusti non si discutono… ecco a voi giudicare dalla pagina con i dettagli dell’uniforme.

http://www.hornetsclassic.com/uniform

Insomma una copia, non riuscita benissimo in alcune parti, in altre più bella e moderna, riprendendo però dal lavoro di Alexander, sperando gli interpreti la onorino riportandoci rinverdendo i “fasti” d’un tempo…

 

La vecchia maglia verde indossata da Muggsy Bogues in occasione di un’amichevole di preseason.
Contro la Buckler Bologna a metà anni ’90 a Casalecchio di Reno.

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Formazione Monk-a

Steve Clifford venerdì ha dichiarato i suoi starter, e personalmente il tutto mi è parso “filare liscio”, senza sorprese, sulla base dei giocatori a disposizione non si è cambiato molto…

La formazione iniziale sarà quindi quella dello scorso anno, con i giocatori impiegati nelle medesime posizioni risperro alla scorsa stagione con l’unica differenza nella posizione di centro, dove Howard sostituirà Zeller, anche se in alcuni match-up si potrebbe modificare qualcosa.

Walker in Pg, Batum in SG, MKG dato da qualcuno come possibile panchinaro sarà ancora al suo posto (Clifford cercherà di puntare ancora sulla difesa) in SF, Marvin Williams sarà l’ala grande e come detto l’ex centro di Hawks, Rockets, Lakers e Magic giocherà dalle parti del pitturato.

Kaminsky ancora, quindi, partirà dalla panchina, mentre l’atletico ed estroso Monk sta continuando ad avere problemi alla caviglia, sempre lo stesso infortunio che gli ha fatto saltare la Summer League e avrebbe dovuto tenerlo lontano dal parquet per poco.

Purtroppo per bocca dello stesso allenatore Clifford (la soffiata è arrivata da Rick Bonnell), Monk non è in grado di sostenere allenamenti abbastanza duri, l’infortunio è definito dal coach “significativo”…

 

“Charlotte… abbiamo un problema”.

 

La caviglia ancora dolente getta ombre sui tempi di recupero del rookie, il quale avrebbe potuto essere uno dei più interessanti esordienti in questa stagione, ampliando una panchina che con gli inserimenti di Zeller avrebbe potuto essere più efficace dello scorso anno.

Per i fan di base in North Carolina l’appuntamento è per il 30 settembre allo Spectrum Center, quando gli Hornets terranno un allenamento a porte aperte con possibilità di farsi firmare autografi, la domanda tuttavia è lecita, Monk potrà dare una mano in tempo utile ai compagni?

Ce l’auguriamo, nonostante Malik non sia dato come gran difensore, ha qualità offensive che potranno probabilmente aiutare gli Hornets nei momenti in cui la squadra potrebbe trovare difficoltà realizzative.

Sperando la stagione non nasca come la scorsa sotto cattivi auspici, siamo ancora a settembre e anche se la NBA inizierà una settimana prima quest’anno, abbiamo tempo per poter disputare una stagione differente da quella dello scorso anno.

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