City Game & Social Distance

In tempo di “pace cestistica”, ovvero, senza ostilità di alcun genere in corso, ambientiamo questo pezzo un po’ lontano da Charlotte, lasciano al finale un pezzo di storia su Jordan e pensando al futuro della franchigia guardando un po’ all’esperienza di Airness ai tempi della sue permanenza nella città della White House.

Nel 1970 esce un magnifico libro (Libreria dello Sport) scritto da Pete Axthelm chiamato City Game ambientato a New York.

Si parla dei Knicks, freschissimi vincitori del loro primo titolo NBA (60-22 in stagione regolare, 4-3 ai Lakers in gara 7 senza uno dei loro migliori giocatori e un Phil Jackson ai box senza una presenza in tutta l’annata per infortunio) ma soprattutto si parla del basket di strada, dei vari playground che nelle strade newyorchesi creano miti tra chi respira la pallacanestro come lo sport più popolare, come l’anima della città.

Si va dal Garden a quei campetti che un po’ tutti abbiamo visto almeno in foto o video, quelli con le reti metalliche squarciate dai ragazzi dove la retina spesso è una chimera o è stracciata che creano quell’atmosfera popolare vissuta.

Mentre, dice il libro; il baseball è il bucolico passatempo nazionale con le sue pause, le corse di cavalli sono per gli scommettitori, le corse automobilistiche fanno per chi ha soldi o magari piace provare il brivido della velocità che sfida la morte, il football è uno sport dove si può riflettere la tattica militare e quell’atavica violenza che dagli albori della civiltà umana a oggi si è solo modificata in parte, il baseball e il golf sono sport da ricchi, il basket necessita di poco, un pallone, un canestro, si può giocare anche in uno contro uno o da soli, facile si sia affermato come sport popolare, ricco, denso di intensità.

L’intensità può divenir drammaticità in una semplice sfida o per chi non ha soldi e spera di far parte del circuito professionistico per tirarsi fuori dalle polveri della povertà.

Sonny Johnson è una delle testimonianze del libro.

Sonny è un buon giocatore da playground, ha poco più di 20 anni (a inizio anni ’70) ed è ancor riconosciuto come buon giocatore ma qualcuno gli dice, visto l’alto livello di competizione dei pg, che il suo miglior momento è passato.

Sonny replica: “Posso ancor metter insieme i migliori 5 minuti che abbiate mai visto” e qualche volta lo fa mentre in altre il giocatore più giovane ha quel pizzico di velocità in più che serve a batterlo.

Sonny fu il primo nero a far parte del Gardner-Webb Junior College in North Carolina, trasferitosi poi all’University of California in procinto di andare a Berkley dovette abbandonare la scuola due volte per tornare a casa e aiutare economicamente casa.

“Un sacco di buoni giocatori si fanno stender dalle droghe. Per me fu la povertà” dice.

In uno dei tanti tornei che proliferano ad Harlem, Johnson si reca per giocare.

Al Wagner Center insieme a lui ci sono dei discreti giocatori tra cui un tizio di nome Lonnie Robinson.

178 cm di giocatore che la gente definiva il “piccolo Walt Frazier”, Walt all’epoca era una stella dei Knicks.

Robinson si occupava della difesa rubando palla ad avversari imprudenti ed era definito “Il Bandito” per questo motivo mentre Sonny era la conclamata stella offensiva della squadra.

Banks, l’allenatore, durante l’intervallo di una partita comodamente comandata di 20 punti butta lì un: “Sonny ha già 19 punti e ha delle buone possibilità di esser votato come miglior giocatore del torneo. Finché manteniamo questo comodo vantaggio perché non cerchiamo di dargli palla il più possibile?”

“Può andare al diavolo. Lui ha segnato i suoi punti, ora tocca al resto di noi farlo!” rispose Lonnie Robinson.

Allenatore e Sonny (molto amico di Lonnie) pensavano scherzasse ma alla ripresa delle ostilità si accorsero subito che Lonnie non scherzava.

Sonny venne sistematicamente ignorato da tutti e la squadra bruciò tutto il suo vantaggio.

Banks, che aveva pagato 25 dollari per iscriver la squadra diede dei soldi a Johnson per tornare a casa.

Johnson si fermò fuori dalla porta per ascoltare la sfuriata del coach: “Per un ora li insultò in tutte le maniere possibili”.

All’inizio ritenne divertente la cosa ma poi pensò al suo stile di gioco, anche se era la star della squadra avrebbe dovuto esser più altruista e passare qualche volta in più la palla ai compagni per farli contenti, evitare quella reazione e creare il giusto clima nella squadra.

Il giusto clima nella squadra a oggi non so se ci sia in casa Lakers perché Avery Bradley e Dwight Howard insieme a Irving capitano una protesta.

Sono giocatori che non vorrebbero iniziare a giocare a Orlando, per differenti motivi.

Howard pensa che, pur volendo vincer un anello, la cosa più importante oggi sia la protesta sociale che sta sconvolgendo l’America.

Giocare distrarrebbe da questa.

C’è chi sostiene che giocando si potrebbe invece dare più risalto a questa.

Irving, seguendo diversi malcontenti vorrebbe addirittura creare una propria nuova lega portando con sé eventuali ribelli che per vari motivi possano contribuire al successo di questa che a oggi comunque pare improbabile ma mai dire mai…

Non faccio processi alle intenzioni né giudico la bontà di queste dichiarazioni perché è solo attraverso la coerenza che esse poi avranno un riscontro “parzialmente giudicabile”.

Di certo il Covid-19 ci ha messo di fronte a nuove distanze sociali, quelle fisiche ma quelle più preoccupanti rimangono tutte le altre, quelle imposte dalla storia economica del pianeta che diventano culturali, di classe, sessiste che spesso confluiscono e contribuiscono a modelli di società nei quali poi possiamo notare problematiche irrisolte.

Per sapere tutto sulla situazione vi giro l’esaustivo link di Milkshake con Davide Chinellato e Riccardo Pratesi che ci aggiornano sulle ultime news in casa NBA, una situazione fluida, non ancora decisa che potrebbe subire ancora piccoli o grandi scossoni.

Per chiudere il pezzo, passiamo da un Howard a un altro, da Dwight al più vecchio Juwan che parla dell’arrivo di Jordan a Washington.

Il pezzo è di XXL Basketball targato aprile 2000 e dopo 20 anni cerchiamo di capire, guardando il passato, se il futuro di Charlotte sarà simile a quello dei Wizards o vi saranno variabili in gioco a determinare sorti diverse.

Qui Jordan prometteva di non giocare e vi erano grandi speranze per i Wizards.

Le cose per i Maghi non andarono bene nonostante un Jordan che contravvenendo alle sue parole “non giocherò per i Wizards” scese sul parquet per essi, spesso la storia si ripete ma se dagli errori si ha l’umiltà di imparar qualcosa (ciò che manca oggi alla massa della gente), allora il futuro potrebbe esser più radioso.

Trasferimenti

Esce nel 1987 l’allegro (musicalmente) album di Rick Astley “Whenever You Need Somebody”.

I riff dei suoi 4/5 singoli di successo, grazie anche alla sua voce sono riconoscibili e iconici, non fa eccezione quello di: “Don’t say goodbye”, un pezzo dedicato a un amore (forse) finito.

Potremmo riprenderlo e innestarlo tra le storie d’amore tra città e identità, considerando la prima come la comunità, il luogo fisico dove fare basket e la seconda l’incarnazione, lo spirito di quel luogo.

La NBA però come tutti sappiamo è primariamente un business e molte volte le società nate in un luogo hanno dovuto o hanno preferito trasferirsi una o più volte durante il loro ramingo girovagare alla ricerca di migliori fortune.

I Lakers da Minneapolis a Los Angeles (ci si può chiedere se poi i Lacustri avessero un senso anche in California), diverse volte i Kings con l’ultimo passaggio nel 1985 da Kansas City a Sacramento, i Jazz che si originarono naturalmente a New Orleans e nella terra dei mormoni questo nome può suonar male anche se oggi in pochi vi fanno caso…

A inizio nuovo millennio due franchigie, Memphis e Charlotte, per motivi differenti ma con un unico denominatore comune (la dichiarata perdita di guadagni) pensano di trasferirsi altrove.

A Vancouver, città canadese un po’ isolata se non per la vicinanza con l’allora Seattle, ancora in pista in NBA ed eventualmente Portland, pensa di lasciare la terra dalla foglia d’acero con il passaggio alla nuova proprietà mentre la proprietà degli Hornets, in particolare il socio di minoranza minaccia di farlo se non verranno approvate le proprie richieste.

Questa è la storia preventiva raccontata dal numero 14 di Superbasket (3/9 aprile 2001).

Come tutti ormai sappiamo Memphis sarà la casa dei Grizzlies e Vancouver non vedrà più la propria squadra mentre New Orleans ospiterà per un decennio e poco più i Calabroni che torneranno a unirsi, rifondersi alla città madre sotto altra forma nel 2014 dopo una dozzina d’anni passati senza basket o come Bobcats.

Buona lettura.

Tra le altre cose, in aggiornamento la cartella Destini con storie prese dalle varie riviste di basket in momenti della loro carriera (non a Charlotte) su giocatori che sono transitati dagli Hornets, eccone un esempio con Kelly Tripucka, ex Hornets visto al volo anche in Italia benché non se ne trovi traccia su internet.

Per chiudere, tornando all’attualità, aspettando di vedere che ne sarà di questa seconda strana fase con una formula piuttosto machiavellica tra scelta delle squadre, accesso ai playoffs e stessi, ecco il video mancante sull’annata di Terry Rozier.

XXL Phills

Amarcord

Sono passati già più di 20 anni dalla scomparsa di Bobby Phills, guardia, swingman degli Charlotte Hornets.

Forse c’è poco o nulla in chiave ironica nell’articolo come il termine amarcord avrebbe nelle sue corde, preso da un omonimo film di Fellini e dal termine dialettale romagnolo a m’arcord (io mi ricordo), allora aggiungiamo che (scherzando) una volta a un giornalista che gli chiedeva se temesse di affrontare Micheal Jordan rispose: “Michael chi?”

In un articolo di XXL basketball dell’aprile 2000 ricordiamo il giocatore e la persona, anch’essa in formato XXL.

George Floyd, Hornets e altre distorsioni…

Tra le teorie metafisiche o fantasiose più affascinanti c’è sicuramente quella che possano esistere altre dimensioni.

Non sto parlando della cosiddetta Teoria delle Stringhe ma di mondi simili al nostro nei quali esisterebbe un’altra copia di noi stessi alla quale le cose vanno diversamente per come funziona quel mondo e per la differenza della nostra personalità.

Delle tre stagioni della famiglia Mezil (l’ultima è totalmente differente ed è la più divertente), cartone animato ungherese piuttosto datato ma sempre splendido, ve ne è una nella quale Aladar (il ragazzino tecnologico e protagonista), fuggendo dalla sua cameretta visita strani mondi che sfuggono alle regole del nostro. Eccone un esempio.

Vi potreste magari trovare al posto di Michael Jordan, al posto di un capo di qualche nazione, un famoso imprenditore o qualche altro famoso uomo o donna dei nostri tempi.

Magari l’MJ in quest’altra dimensione si è dato fin da subito al baseball, non ha avuto successo, non gli è stato ucciso il padre (sfortunatissima e assurda conseguenza di un benessere sparso per pochi e di un sistema culturale povero) e avrebbe avuto una vita normale ma immaginatevi di esser George Floyd, l’uomo ucciso recentemente dalla polizia a Minneapolis e far parte di una minoranza che incredibilmente ancor oggi non viene tutelata alla luce del sole.

Una minoranza evidentemente in molti casi ancor non ben accetta, trasportata in tempi non poi così remoti come manodopera a costo zero, schiavi…

Oggi, gli eredi di quegli avi ai quali era stato detto che la schiavitù era finita ma che si è ritrovata a battersi per aver semplici diritti fondamentali e uguali come per gli altri cittadini (ricordate Rosa Parks?) fatica a uscire dal ghetto della povertà nella quale è stata relegata, segregata e condannata all’altrui stereotipato giudizio che vede in loro dei potenziali criminali o a causa del cieco odio razziale.

Mii è capitato recentemente di leggere su un social una “strana difesa” asserendo che se la cosa fosse capitata a un bianco non avrebbe fatto notizia, paragoni, una serie di erroneità fino a sostenere ancora che esistano delle razze umane.

Evidentemente, come molti evidentemente non sanno, siamo tutti figli di Homo Sapiens oggi, gli altri ominidi vissuti in passato si sono estinti, compresi i Neanderthal, i veri europei con i quali abbiamo convissuto.

A 1:01:40 Telmo Pievani ricorda, da una posizione scientifica, che non esistono “razze umane” agli ignoranti in materia.

La nostra pelle era scura e probabilmente i fotoni che raggiungono la Terra nel cervello di qualcuno oggi devono aver lasciato tracce disturbanti, strane onde elettromagnetiche che devono aver fatto del colore un principio.

Ossimoricamente si potrebbe facilmente sostenere che la luce porta buio nel cranio di certi personaggi che vedono un uomo nero, logiche confuse e ancestrali tribali, rivalità tra gruppi ed etnie, nazioni sorte in seguito, mentre io vedo una persona, un essere vivente ucciso senza validi motivi.

Oltretutto guardare uno spettacolo come quello della NBA con atleti a maggioranza di colore ed esser razzisti credo che non sia facile da guardare senza che si contorcano le budella ai suddetti ma quello rimarrà sempre un problema loro e non deve essere bello viverla così.

Questa è una prima distorsione, quella sulla quale non avrei voluto scrivere perché non voglio speculare su Floyd (spero ciò che accade serva in futuro ad avere molti meno casi Floyd ma temo non cambierà molto la situazione) più che estrinsecare il mio pensiero vedendo ciò che troppo spesso accade, come cantava Nik Kershaw: “I don’t wanna be here no more” vedendo che nel 2020 si è regrediti a un’impossibile scala di valori nichilista.

La seconda è che incontrare a volte la polizia negli Stati Uniti è una sfortuna colossale, se sei nero, statistiche alla mano, peggio che esser bombardati.

Gente che dovrebbe garantire l’ordine e la sicurezza ha più precedenti rispetto chi ammazza e arresta.

La cosa non mi stupisce, non sono mai stato un fan del brutale sistema americano che sembra a volte rifarsi ancora al Far West ma in un sistema produttivo che è ancor peggior e sacrifica la persona.

La cosa non mi indigna perché sono consapevole che saranno fatti destinati a ripetersi per grave mancanza culturale, lo diceva un soldato, un capo di Stato, tale Thomas Isidore Sankara, ucciso da una congiura internazionale negli anni ’80 (testimonianze di alcuni generali) quando le menti di alcune nazioni che comandavano il mondo (compresi gli Stati Uniti) decisero di toglierlo di mezzo perché era troppo scomodo.

In questo video, Sankara all’inizio (da 1:15 a 2:25) parla di ciò che è o può essere un soldato.

C’è un problema d’identità, su cosa si pensi di essere, l’etnogenesi come modello di riferimento identitario spesso non funziona, prendere come esempio di riferimento il sistema americano come fanno molti diventa pericoloso e nemmeno il modello economico occidentale angolo/americano è qualcosa di cui andar fieri poiché non è sostenibile ecologicamente, si basa solo sulla prestazione non guardando i bisogni delle persone va da sé che si crei un’altra distorsione dove lo sviluppo viene confuso con il progresso.

Pasolini parla della differenza tra sviluppo e progresso. L’implementare qualcosa a scopi personali e il progredire veramente da parte della civiltà umana sono due cose differenti.

Andando a riprendere un intervento di Alessandro Barbero immesso in rete molto recentemente ci sarebbe da chiedersi e riflettere sul se le nostre convinzioni siano sempre esatte.

Dopo aver parlato di altro, torniamo allo sport anche se di fronti a certi fatti questa passione sembra esser quasi marginale.

A che punto è il progresso degli Hornets?

Difficile saperlo oggi poiché avremo come ormai saprete un prologo della stagione regolare e dei playoffs ma solo per 22 squadre mentre lottery e Draft saranno rimandati con il Draft programmato per il 15 ottobre…

https://sport.sky.it/nba/2020/06/04/nba-ripresa-2020-guida

Pare che la voce di Michael Jordan sia stata tra quelle più ascoltate durante la riunione nella quale Silver ha messo sul piatto un poker di ipotesi probabili, tuttavia, Charlotte è rimasta fuori come 23^ squadra (la prima fuori) guardando i record.

Detto che personalmente sono contento che i giocatori del roster non siano costretti a rischiare inutilmente in un format che, anche se fosse stato leggermente modificato, difficilmente avrebbe garantito la nostra partecipazione ai playoffs, l’ennesima distorsione è stata favorire le squadre dell’Ovest anziché rispettare le regole attuali, ovvero la suddivisioni in due conference.

Qualcuno obietterà che l’Ovest mediamene è più forte e attrezzato, le squadre partecipanti hanno record migliori, vero, ma rimane il fatto che vi sia stata un’altra distorsione, trattasi palesemente di violazione delle regole anche se a oggi è un (amaro) unicum.

L’augurio è che MJ, spinto dalle contingenze cambi registro, magari aiutato anche dalla lottery e che finalmente tornino i tempi nei quali gli Hornets pareggiavano o superavano sempre quota .500.

https://www.aroundthegame.com/post/il-fallimento-di-michael-jordan-dietro-la-scrivania?fbclid=IwAR3R9iO7ioFeUl0SfkDQUYQFCQRALRW73tLOWy5ezxgLL5ksJeuRcE6GOqM

Un link da Around the Game che ha tradotto un pezzo del Charlotte Observer su MJ, specialmente come proprietario.

Per il momento, oltre ad aver pubblicato un articolo di Superbasket su Eddie Jones nella cartella Imamginazihornets e uno di Superbasket nella cartella Destini su un Belinelli diciassettenne, accontentatevi di questa manciata di video realizzati da me sui nuovi giocatori che gli Hornets hanno messo sul parquet quest’anno.

Manca ancora Terry “Scary” Rozier ma provvederemo, in fondo è solo un’altra “distorsione”…